Ed ecco una nuova intervista ad Antonella Mancusi. Alcune delle cose qui scritte le troverete approfondite nel suo bel libro (se vuoi sapere di cosa parlo clicca qui).
E' importante non rimanere in balia del pensiero superficiale ma andare in profondità. Direi che in tempi così difficili ciò è doveroso. Così vi invito a leggere quest'interista. E' un tentativo di decodificare cosa sta accadendo. Buona lettura.
E' importante non rimanere in balia del pensiero superficiale ma andare in profondità. Direi che in tempi così difficili ciò è doveroso. Così vi invito a leggere quest'interista. E' un tentativo di decodificare cosa sta accadendo. Buona lettura.
In un tempo così complesso e per certi versi drammatico, come interpreti l’arrivo di medici cubani e da molti altri Paesi?
Può riecheggiare
dissonante, data la drammaticità di questi giorni, le innumerevoli vittime
inconoscibili, irraggiunte, incompiante, ma alcune circostanze di questo tempo
impietoso mi ricordano ciò che Kant intendeva quando faceva riferimento a una
certa manifestazione del Sublime. Si
fa esperienza del sublime per Kant a contatto con le tumultuose manifestazioni
della natura, quando l’uomo sperimenta l’immane che lo travalica annientando il
piccolo Io e si lascia pervadere dall’immenso che lo oltrepassa.
Il bello attrae, il
sublime commuove. Il sublime è nella natura, ma anche nell’uomo che sceglie di
essere profondamente “morale” anche quando non gli conviene, anche quando è
difficile, anche se nessuno lo ringrazierà, anche se forse morirà per questo.
Se l’essere umano fosse
programmato per ciò che è universalmente giusto non sarebbe libero di scegliere
di essere morale, di agire con l’audacia del cuore, l’istinto tenace verso un
fine che lo eccede.
Molte volte in questi
giorni stiamo facendo esperienza del sublime, tutte le volte che
arranchiamo per tutelare più gli altri
che noi stessi. E sublime mi è apparsa l’avanzata dei medici cubani, cinesi, russi,
albanesi in ribalta negli aeroporti italiani per sostenere i colleghi in prima
linea nella cura, mentre tornano fantasie, seppure anacronistiche e improprie,
su antiche attese della rivoluzione imminente. Sublime è il cambio di rotta a
cui ci è dato di assistere in questi giorni, le strade vuote liberate dall’uomo
che frena gli artigli della sua arroganza e lascia che la natura gli attraversi
di nuovo davanti.
Dalle
ultime interviste fatte, come quella al Prof. Ugo Mattei, al Prof. Carlo
Iannello ed al Prof Giso Amendola emerge che un tratto comune del nostro tempo
è il nodo controllo/libertà. Tu cosa ne pensi?
Kρίσις deriva dal verbo
κρίνω: separare, dividere, giudicare, decidere. Se vogliamo veramente che la crisi
diventi un’opportunità di cambiamento bisogna decidere che tipo di domande porsi. Come ricordava Ernesto de Martino il
problema non sembra più essere “perché l’uomo sia al mondo”, ma come l’uomo possa e debba ritornare ad esserci.
Se è vero, come scrive
Ernst Junger, filosofo e scrittore tedesco vissuto nel periodo delle due guerre
mondiali, che la storia si ritrova nell’«impronta che l’uomo libero dà al
destino», in ogni momento di cambiamento, seppure tragico, il problema della
libertà non può essere sospeso. Controllo, destino, libertà sono tre parole che
si impongono al tempo del Covid-19, ma sembra si affrontino con remore etiche, indugiando
per un certo pudore dell’emergenza.
Credo invece che ogni cittadino
pensante, soprattutto in momenti come questi, non debba rinunciare al diritto
di valutare ed eventualmente criticare le norme circostanziali imposte. Per
quanto, da cittadina di un Paese in difficoltà, ritengo che sia doveroso
rispettare rigorosamente le norme risolutive emesse da chi ne ha le competenze,
credo sia altrettanto necessario salvaguardare il senso critico che difende la
nostra libertà di reinventarci, di ripartire quando finalmente ci
approssimeremo a svoltare pagina.
L’appello alla
responsabilità collettiva è stato accolto diffusamente, il distanziamento
sociale, salvo nei contesti dove problematicamente inapplicabile,
è largamente rispettato anche dove
esistono configurazioni urbane che ne impediscono la fattibilità Quasi tutti, insomma, si stanno sforzando di rispettare
le norme restrittive. Ma nel proteggere, giustamente, alcune persone fragili, l’attenzione
pubblica sta trascurando altre forme di fragilità per le quali sarebbe
necessario cercare delle soluzioni.
Un po’ di attività fisica
al giorno svolta in isolamento, nel rispetto delle distanze, gioverebbe alla
salute, anche a quella emotiva e mentale, rafforzerebbe il sistema immunitario
e non inciderebbe sul contagio. Impedire alle persone di fare una mezz’ora d’aria
azzera anche i già difficili tentativi di fare una telefonata per denunciare senza pericolo una violenza
subita in casa.
Judith Butler nelle prime
pagine del suo libro, “Critica della violenza etica”, sulla scia di Adorno,
inizia il discorso insistendo sulla necessità di contestualizzare il valore
delle norme considerando le esigenze e i comportamenti reali delle
persone oltre ogni pretesa universalizzazione.
La responsabilizzazione
eccessiva del cittadino nasconde le falle di un sistema sanitario straordinario
nella sua vocazione pubblica, che nel tempo è stato mortificato e massacrato
dalla colpevole defocalizzazione politica sulle criticità specifiche, per
rincorrere tutt’altri obiettivi. Si assiste oggi al paradosso sconvolgente che
per carenza di dispositivi di sicurezza chi ha il dovere di salvare gli altri
non ha diritto di salvare se stesso. E’ tuttora difficile far
circolare anche semplicemente delle mascherine chirurgiche che usate
correttamente avrebbero forse potuto fin
dall’inizio limitare la carica contagiosa degli asintomatici, senza cedere all’illusoria
sensazione di sicurezza personale. Credo possa
essere importante potenziare i servizi a domicilio per ridurre
l’affluenza ai supermercati che restano comunque luoghi di assembramento. I
percettori del reddito di cittadinanza, quanti, di loro sono stati selezionati a
partire da competenze adatte per fronteggiare situazioni di un'emergenza come
questa, potrebbe essere reclutato per aiutare le fasce più deboli, svolgendo
lavori di pubblica utilità come consegne a domicilio nel rispetto dei dettami
della massima sicurezza, supportando i tanti volontari spesso privi delle
competenze adatte per fronteggiare la situazione.
Va
emergendo una nuova supremazia delle tecnologie. Anche la tecnologia giuridica,
plasmata dallo stato d’emergenza, non fa eccezione. Tu cosa ne pensi?
Sulla scia del modello di
contenimento utilizzato in Corea del Sud si sta ragionando sulla possibilità di
attuare un tracciamento dei contagiati, attivando una applicazione che possa
monitorare movimenti, interazioni e stato di salute delle persone.
Credo che ogni
provvedimento andrebbe contestualizzato storicamente e culturalmente. Il nostro
sistema politico considera alcune pratiche, per le quali oltretutto non ne è
appurata la fattibilità e l’efficacia nel contesto specifico, non legittime. Se
davvero in uno Stato democratico i dati sensibili possono essere trattati
senza consenso, per motivi di interesse
pubblico, come nel caso di grave minacce per la salute, bisognerebbe discuterne,
anche perché le misure a breve termine prese in periodi di emergenza rischiano
di durare anche oltre i tempi convenuti.
Il
distanziamento ci porta ad azzerare in un colpo solo il nostro tempo sociale.
In una condizione del genere dove esattamente siamo finiti?
Da tempo il contatto
umano autentico tra gli individui è depotenziato. Oggi è severamente negato.
Domani, con l’avanzare delle prassi di controllo e gli strascichi della paura,
potrebbe essere collettivamente e volontariamente rifiutato. Il futuro sembra aprire due possibilità: la disintegrazione
totale del sociale, l’esasperazione della logica individualistica o la
rivitalizzazione del sociale e il ridimensionamento dell’Io che non riesce più a concepirsi senza un Noi.
La reclusione prolungata può
sganciare ulteriormente la persona dalle strutture collettive, può condurre a
un ripiegamento nell’Io che rifiuta
totalmente un sociale sempre più disintegrato, fobico, replicatore di paure. Ma
il ritiro può anche aiutare ad elaborare criticamente le separazioni imposte, riconducendo ai bisogni e alle richieste reali,
non più fuorviate e indotte dal sistema. Può condurre alla scelta del Noi. Il Noi della reciproca assistenza, della
socialità dei borghi, della convivialità, della comprensione erotica, della
vulnerabilità, che è condivisione della ferita, e della cura. Nello “sliding
doors” che stiamo vivendo, spetta a ciascuno scegliere su quale treno salire.
La
nostra pretesa di invulnerabilità è ormai al capolinea. La crisi ci sta
conducendo verso una nuova visione? Cosa può essa stessa portarci a scoprire?
L’attrazione verso
l’illusoria invulnerabilità di presunti sistemi autoritari di controllo abbassa
la difese contro i potenziali effetti sociali di alcune misure sul futuro delle
persone.
Nel potenziale logorio
sociale che si profila all’orizzonte varrebbe la pena soffermarsi su una
prospettiva attraverso cui guardare il futuro, nelle parole della filosofa
Judith Butler.
La filosofa statunitense
espone le sue riflessioni alla luce della crisi del panorama politico
internazionale rimarcando l’urgenza di ripensare il rapporto tra “vulnus” e “potere”
attraverso un’ontologia del presente segnata dall’esposizione all’altro. Mai come
in questi giorni ci è data l’occasione di riflettere sul fatto che l’Io è da sempre un Noi. Ogni corpo non ha confini ed è contemporaneamente esposto e sostenuto
dalle reti sociali e politiche. Da sempre strumentalizzata dal potere la comune
vulnerabilità può diventare strumento per agire sul potere, ridimensionandone
gli sforzi deliranti. In un potenziale capovolgimento di valori, la dimensione
della vulnerabilità invece che rimossa andrebbe evocata come nuova prospettiva
attraverso la quale ripensare il futuro,
anche economico, del nostro Paese. In una cornice
interconnessa, globale, “iperattiva” gli squilibri determinati dai conflitti
internazionali, interpersonali e -aggiungerei - anche interspecisti, si amplificano compromettendo la salute e la vita di tutti.
Bisognerebbe utilizzare i
parametri della vulnerabilità per riprogettare il sistema Paese, riconvertendo
i mercati sulla ricerca e il perfezionamento di tutto ciò che tutela
prioritariamente la salute complessiva delle persone e dell’ambiente.
Dalla prospettiva della
cura, che non necessariamente implica il sacrificio di sé, ma una certa
passione dell’altro, si manifesta il valore della responsabilità verso il
mondo, la natura, la biosfera, si smuovono forze inimmaginabili, si affranca
una prospettiva planetaria che affida alla cura del mondo che potenzia se
stessi il ribaltamento radicale delle logiche ammalanti di potere sull’altro.
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