lunedì 30 marzo 2020

Intervista ad Antonella Mancusi: riflessioni per fronteggiare il vuoto


Ed ecco una nuova intervista ad Antonella Mancusi. Alcune delle cose qui scritte le troverete approfondite nel suo  bel libro (se vuoi sapere di cosa parlo clicca qui).
E' importante non rimanere in balia del pensiero superficiale ma andare in profondità. Direi che in tempi così difficili ciò è doveroso. Così vi invito a leggere quest'interista. E' un tentativo di decodificare cosa sta accadendo. Buona lettura.


In un tempo così complesso e per certi versi drammatico, come interpreti l’arrivo di medici cubani e da molti altri Paesi?


Può riecheggiare dissonante, data la drammaticità di questi giorni, le innumerevoli vittime inconoscibili, irraggiunte, incompiante, ma alcune circostanze di questo tempo impietoso mi ricordano ciò che Kant intendeva quando faceva riferimento a una certa manifestazione del Sublime. Si fa esperienza del sublime per Kant a contatto con le tumultuose manifestazioni della natura, quando l’uomo sperimenta l’immane che lo travalica annientando il piccolo Io e si lascia pervadere dall’immenso che lo oltrepassa.
Il bello attrae, il sublime commuove. Il sublime è nella natura, ma anche nell’uomo che sceglie di essere profondamente “morale” anche quando non gli conviene, anche quando è difficile, anche se nessuno lo ringrazierà, anche se forse morirà per questo.
Se l’essere umano fosse programmato per ciò che è universalmente giusto non sarebbe libero di scegliere di essere morale, di agire con l’audacia del cuore, l’istinto tenace verso un fine che lo eccede.
Molte volte in questi giorni stiamo facendo esperienza del sublime, tutte le volte che arranchiamo  per tutelare più gli altri che noi stessi. E sublime mi è apparsa l’avanzata dei medici cubani, cinesi, russi, albanesi in ribalta negli aeroporti italiani per sostenere i colleghi in prima linea nella cura, mentre tornano fantasie, seppure anacronistiche e improprie, su antiche attese della rivoluzione imminente. Sublime è il cambio di rotta a cui ci è dato di assistere in questi giorni, le strade vuote liberate dall’uomo che frena gli artigli della sua arroganza e lascia che la natura gli attraversi di nuovo davanti.

Dalle ultime interviste fatte, come quella al Prof. Ugo Mattei, al Prof. Carlo Iannello ed al Prof Giso Amendola emerge che un tratto comune del nostro tempo è il nodo controllo/libertà. Tu cosa ne pensi?

Kρίσις deriva dal verbo κρίνω: separare, dividere, giudicare, decidere. Se vogliamo veramente che la crisi diventi un’opportunità di cambiamento bisogna decidere che tipo di domande  porsi. Come ricordava Ernesto de Martino il problema non sembra più essere “perché l’uomo sia al mondo”, ma come l’uomo  possa e debba ritornare ad esserci.
Se è vero, come scrive Ernst Junger, filosofo e scrittore tedesco vissuto nel periodo delle due guerre mondiali, che la storia si ritrova nell’«impronta che l’uomo libero dà al destino», in ogni momento di cambiamento, seppure tragico, il problema della libertà non può essere sospeso. Controllo, destino, libertà sono tre parole che si impongono al tempo del Covid-19, ma sembra si affrontino con remore etiche, indugiando  per un certo pudore dell’emergenza.
Credo invece che ogni cittadino pensante, soprattutto in momenti come questi, non debba rinunciare al diritto di valutare ed eventualmente criticare le norme circostanziali imposte. Per quanto, da cittadina di un Paese in difficoltà, ritengo che sia doveroso rispettare rigorosamente le norme risolutive emesse da chi ne ha le competenze, credo sia altrettanto necessario salvaguardare il senso critico che difende la nostra libertà di reinventarci, di ripartire quando finalmente ci approssimeremo a svoltare pagina.
L’appello alla responsabilità collettiva è stato accolto diffusamente, il distanziamento sociale, salvo nei contesti dove problematicamente inapplicabile, è  largamente rispettato anche dove esistono configurazioni urbane che ne impediscono la fattibilità  Quasi tutti, insomma, si stanno sforzando di rispettare le norme restrittive. Ma nel proteggere, giustamente, alcune persone fragili, l’attenzione pubblica sta trascurando altre forme di fragilità per le quali sarebbe necessario cercare delle soluzioni.
Un po’ di attività fisica al giorno svolta in isolamento, nel rispetto delle distanze, gioverebbe alla salute, anche a quella emotiva e mentale, rafforzerebbe il sistema immunitario e non inciderebbe sul contagio. Impedire alle persone di fare una mezz’ora d’aria azzera anche i già difficili tentativi di fare una telefonata  per denunciare senza pericolo una violenza subita in casa.
Judith Butler nelle prime pagine del suo libro, “Critica della violenza etica”, sulla scia di Adorno, inizia il discorso insistendo sulla necessità di contestualizzare il valore delle norme considerando le esigenze e i comportamenti reali delle persone oltre ogni pretesa universalizzazione.
La responsabilizzazione eccessiva del cittadino nasconde le falle di un sistema sanitario straordinario nella sua vocazione pubblica, che nel tempo è stato mortificato e massacrato dalla colpevole defocalizzazione politica sulle criticità specifiche, per rincorrere tutt’altri obiettivi. Si assiste oggi al paradosso sconvolgente che per carenza di dispositivi di sicurezza chi ha il dovere di salvare gli altri non ha diritto di salvare se stesso. E’ tuttora difficile far circolare anche semplicemente delle mascherine chirurgiche che usate correttamente  avrebbero forse potuto fin dall’inizio limitare la carica contagiosa degli asintomatici, senza cedere all’illusoria sensazione di sicurezza personale. Credo possa  essere importante potenziare i servizi a domicilio per ridurre l’affluenza ai supermercati che restano comunque luoghi di assembramento. I percettori del reddito di cittadinanza, quanti, di loro sono stati selezionati a partire da competenze adatte per fronteggiare situazioni di un'emergenza come questa, potrebbe essere reclutato per aiutare le fasce più deboli, svolgendo lavori di pubblica utilità come consegne a domicilio nel rispetto dei dettami della massima sicurezza, supportando i tanti volontari spesso privi delle competenze adatte per fronteggiare la situazione.

Va emergendo una nuova supremazia delle tecnologie. Anche la tecnologia giuridica, plasmata dallo stato d’emergenza, non fa eccezione. Tu cosa ne pensi?

Sulla scia del modello di contenimento utilizzato in Corea del Sud si sta ragionando sulla possibilità di attuare un tracciamento dei contagiati, attivando una applicazione che possa monitorare movimenti, interazioni e stato di salute delle persone.
Credo che ogni provvedimento andrebbe contestualizzato storicamente e culturalmente. Il nostro sistema politico considera alcune pratiche, per le quali oltretutto non ne è appurata la fattibilità e l’efficacia nel contesto specifico, non legittime. Se davvero in uno Stato democratico i dati sensibili possono essere trattati senza  consenso, per motivi di interesse pubblico, come nel caso di grave minacce per la salute, bisognerebbe discuterne, anche perché le misure a breve termine prese in periodi di emergenza rischiano di durare anche oltre i tempi convenuti.

Il distanziamento ci porta ad azzerare in un colpo solo il nostro tempo sociale. In una condizione del genere dove esattamente siamo finiti?

Da tempo il contatto umano autentico tra gli individui è depotenziato. Oggi è severamente negato. Domani, con l’avanzare delle prassi di controllo e gli strascichi della paura, potrebbe essere collettivamente e volontariamente rifiutato. Il futuro sembra aprire due possibilità: la disintegrazione totale del sociale, l’esasperazione della logica individualistica o la rivitalizzazione del sociale e il ridimensionamento dell’Io che non riesce più a  concepirsi senza un Noi.
La reclusione prolungata può sganciare ulteriormente la persona dalle strutture collettive, può condurre a un ripiegamento nell’Io che rifiuta totalmente un sociale sempre più disintegrato, fobico, replicatore di paure. Ma il ritiro può anche aiutare ad elaborare criticamente le separazioni imposte,  riconducendo ai bisogni e alle richieste reali, non più fuorviate e indotte dal sistema. Può condurre alla scelta del Noi. Il Noi della reciproca assistenza, della socialità dei borghi, della convivialità, della comprensione erotica, della vulnerabilità, che è condivisione della ferita, e della cura. Nello “sliding doors” che stiamo vivendo, spetta a ciascuno scegliere su quale treno salire.

La nostra pretesa di invulnerabilità è ormai al capolinea. La crisi ci sta conducendo verso una nuova visione? Cosa può essa stessa portarci a scoprire?

L’attrazione verso l’illusoria invulnerabilità di presunti sistemi autoritari di controllo abbassa la difese contro i potenziali effetti sociali di alcune misure sul futuro delle persone.
Nel potenziale logorio sociale che si profila all’orizzonte varrebbe la pena soffermarsi su una prospettiva attraverso cui guardare il futuro, nelle parole della filosofa Judith Butler.
La filosofa statunitense espone le sue riflessioni alla luce della crisi del panorama politico internazionale rimarcando l’urgenza di ripensare il rapporto tra “vulnus” e “potere” attraverso un’ontologia del presente segnata dall’esposizione all’altro. Mai come in questi giorni ci è data l’occasione di riflettere sul fatto che l’Io è da sempre un Noi. Ogni corpo non ha confini ed è contemporaneamente esposto e sostenuto dalle reti sociali e politiche. Da sempre strumentalizzata dal potere la comune vulnerabilità può diventare strumento per agire sul potere, ridimensionandone gli sforzi deliranti. In un potenziale capovolgimento di valori, la dimensione della vulnerabilità invece che rimossa andrebbe evocata come nuova prospettiva attraverso la quale  ripensare il futuro, anche economico, del nostro Paese. In una cornice interconnessa, globale, “iperattiva” gli squilibri determinati dai conflitti internazionali, interpersonali e -aggiungerei - anche interspecisti,  si amplificano compromettendo  la salute e la vita di tutti.
Bisognerebbe utilizzare i parametri della vulnerabilità per riprogettare il sistema Paese, riconvertendo i mercati sulla ricerca e il perfezionamento di tutto ciò che tutela prioritariamente la salute complessiva delle persone e dell’ambiente.
Dalla prospettiva della cura, che non necessariamente implica il sacrificio di sé, ma una certa passione dell’altro, si manifesta il valore della responsabilità verso il mondo, la natura, la biosfera, si smuovono forze inimmaginabili, si affranca una prospettiva planetaria che affida alla cura del mondo che potenzia se stessi il ribaltamento radicale delle logiche ammalanti di potere sull’altro.

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