Antonella Mancusi, autrice del libro Presenza, essere dinanzi al mondo, essere dinanzi al vuoto |
Il libro di Antonella Mancusi Presenza, essere dianzi al mondo, essere dinanzi al vuoto, è denso di spunti di riflessione che possono essere preziosi in un momento storico così delicato. Vi invito a leggere l'intervista ed ovviamente il libro
Come stai vivendo questi giorni di quarantena? Questo stato che
riflessioni ha generato in te?
Talvolta spulcio su internet le
riflessioni fuori dal coro alla ricerca di riscontri, altre sere invece smorzo
i toni perentori, ritiro in casa anche i giudizi e mi lascio congedare dalla
poesia in tutte le forme possibili. Non dovendo, per mia fortuna, gestire la
malattia direttamente, ogni sera dopo le spettrali attività lavorative
virtuali, spengo le luci, accendo una candela, una al giorno perché bisogna
fare economia domestica di questi tempi, e condivido il mio umore musicale con
i vicini. “Prospettiva Nevski” di
Battiato gli Almamegretta sono motivi ricorrenti.
Cerco, leggendo, di saltare
qualche puntata in tv della serie “Covid 19” per non restare intrappolata
dentro per sempre. E mentre la vita si ritira, osservo la natura raggiante che
rivendica il suo spazio, colombi per strada, cani randagi attraversano il vuoto della città, in rivalsa sulle
strade liberate
Credo che ad alcuni “rintanati”
come me sia concessa l’opportunità di riscoprire una “libertà introversa”,
dalle finestre sulla città, in sincroniche frequenze si riscopre il lato intimo
della collettività. Fermarsi mentre tutti si fermano ha qualcosa di poetico,
una concessione dell’universo, un sedativo cosmico per stroncare la gara a chi ha la vita più glamour, e per
cominciare a comprendere il mondo attraverso la vita, non più la vita
attraverso il mondo.
Ma è pur vero che non tutte le
quarantene sono uguali. Purtroppo c’è chi deve costringere il proprio disagio
psichico, intimo, familiare, sociale tra quattro mura domestiche e gli effetti
a lungo termine di questa condizione potrebbero essere altrettanto devastanti.
Il contagio è democratico, ma gli effetti, le cure e - a quanto pare - anche le
misure che ne conseguono non lo sono mai state.
Viviamo giorni in cui sta crollando il mito per cui l'uomo sta al
mondo quasi fosse immortale, avendo stili di vita che non prendono
inconsiderazione la possibilità che alterare gli equilibri naturali può
generare delle apocalissi. Tu cosa pensi a tal proposito?
Credo che in questo momento si
stia inscenando, nelle migliori cornici metereologiche, un vero e proprio
cambio di paradigma epocale. Si
rimescolano i significati e i valori che hanno orientato le esistenze in questi
anni, ogni cosa si riprende il suo posto. Ci tocca attutire la frenesia e
l'insoddisfazione generazionale a cui un sistema di speculazioni economiche,
rampantismi sfrenati e indaffaratissimi niente ci ha condannati per anni.
Aspetti della vita si eclissano, altri irrompono; serve solo ciò che è
strettamente necessario. Sentiamo direttamente nei nostri corpi sulle nostre
vite i danni dell’inquinamento generati dall’uomo. Domande sullo sciacallaggio
ambientale si impongono con forza
imminente, al futuro spetta il dovere di fornire risposte.
Siamo veramente nella condizione di dover scegliere tra tutela della
salute e della libertà?
Questi giorni ci hanno
impietosamente messo davanti una verità: è molto facile per tutti rinunciare
alle proprie libertà civili per salvaguardare la salute anche se la minaccia
per molti resta invisibile.
Credo che la legittima tendenza a
responsabilizzare il cittadino in questo
momento ne nasconda un’altra molto subdola che mira a colpevolizzarlo. L’avallo
di atteggiamenti accusatori e persecutori verso chi sia l’altro o vi diventa,
sembra nascondere l’intenzione di rattoppare o occultare le falle pregresse di
un sistema politico che inevitabilmente sta avendo ripercussioni su quello sanitario.
In un momento in cui generalmente
gli italiani stanno dimostrando di rispettare le radicali norme vigenti mi
sembra pretestuoso e anche paradossale continuare a insistere
sull’irresponsabilità della gente acclamando anche l’eventuale ricorso agli eserciti.
Nella mia città la caccia al nemico ha subito
un’accelerazione allarmante. E’ toccata in rapida successione a neri, cinesi,
codognesi, milanesi, meridionali del nord, incoronati, lettori di giornali,
ciclisti, corridori, fuochisti,
fumatori, i goliardici che attenterebbero alla salute collettiva con
comportamenti iniqui.
Non mi sembra che tanta
apprensione si sia manifestata in passato di fronte a conclamati atti criminali
verso l’ambiente e la società, a causa dei quali subiamo effetti patologici da
anni.
Nell'emergenza sanitaria si
innesta un regime biopolitico ( Focault)
implicazione diretta tra la dimensione della politica e la dimensione
della vita deve piegarsi alle decisioni politiche per un scopo superiore ma non
ci si può accanire contro i corridori solitari e lasciare un’ingente fascia
della popolazione lavorare senza essere
messa in sicurezza. In questo intreccio di pandemie è indubbiamente difficile
trovare un punto di equilibrio tra deriva sanitaria e deriva economica,
sottovalutando oltretutto la dirompente deriva psichica, ma dirottare l’ansia collettiva contro nemici inconsistenti
nasconde incongruenze inaccettabili.
Sul mio blog tento di rappresentare un'idea del cosmo come organismo
vivente. Forse quest'organismo ha iniziato a percepire le nostre spinte
antropocentriche come un vero e proprio virus da debellare. Che ne pensi?
Al di là delle varie prospettive religiose ho sempre ritenuto che il cosmo abbia delle regole, per
ristabilire gli equilibri deve innestare nuovi processi. Così fu all'origine
dei tempi, così risuccede ciclicamente. Ma purtroppo gli effetti non sono né
prevedibili, né controllabili. Di certo l’allentamento dell’esuberanza
antropocentrica che costringe all'autismo esistenziale e alla quotidianità
isolata potrebbe risvegliare nelle persone un sentimento politico nuovo che
insiste sulla necessità delle mediazioni e mutualità con l’altro e con
l’ambiente, sulla “sintesi creativa” che riconosce “l’interdipendenza della pluralità psichica e
sociale” in rapporto con l’ambiente naturale.
Dove può condurre una società governata dalla paura?
Quando la paura per la salute ci
agguanta, in uno stato di emergenza, distorce il pensiero e divampa in ferocia.
Sull'onda emotiva, tutt'altro che empatica, i conflitti repressi esondano, ci
si disfa senza remore del senso critico, del rispetto, si santifica la gogna
come utile strumento di controllo, ci si inchina di fronte al pugno più forte,
alla mano più alta, alla dichiarazione più violenta (Consiglio J. Butler,
“Crisi della violenza etica”). Si tende a moralizzare il sé “decidendo” di
“giudicare” senza appello l’altro. Le già poche libertà garantite, in uno stato
di emergenza perdono importanza, si diventa poco
vigili sugli abusi. Ogni circostanza estrema con norme e protocolli eccezionali
rischia di impoverire la democrazia, gettando dentro la sua complessa macchina
elementi "autoritaristici" e demagogici, prassi di controllo che
nell'acritica acclamazione collettiva possono lasciare il passo a un processo
di indebolimento del senso dei già vacillanti valori democratici.
Sarebbe interessante in futuro
fare una riflessione anche su questo, perché una cosa è certa: nell'emergenza
si gioca tutto, si può essere civili perdendo però la capacità di rimanere
umani, si può dimostrare buon senso, sacrificando completamente il senso
critico.
Nel tuo bel libro quasi fotografi l'essere umano sull'orlo di un
abisso. C'è un modo per uscirne vivi?
Provo sentimenti inaspettati in
questi giorni, provo una strana nostalgia o malinconia come se stessi a ridosso
della fine di un tempo percependo lentamente ogni passaggio inesorabile. E’
come iniziare a disfarsi di qualcosa a cui siamo comunque affezionati, il
distacco richiede i suoi tempi. La notte sogno di sostare sotto un ponte, con
occhi rivolti alla vita che finalmente mi riattraversa. Ognuno di noi firmerà
l’ultima pagina del capitolo della storia che stiamo scrivendo, ogni fine porta
in serbo un ri-inizio.
Per quanto i toni apocalittici appaiano
pesanti e intimidatori, la dimensione apocalittica nel suo significato
etimologico è tutt'altro che funesta. Apocalisse
deriva dal greco ἀποκάλυψις (apokalypsis) composto di apò (“separazione”) e
kalýptein (nascosto) indica un gettar via ciò che copre, togliere il velo.
Apocalisse, dunque, sta per “caduta dei veli”. L’apocalisse culturale per
Ernesto De Martino è una crisi comunitaria, che contiene in germe la
rivelazione di un nuovo mondo e di un’esistenza migliore.
Nel ritiro sociale trabocca il
sommerso, il sommerso dei conflitti intimi, sociali, politici. Il disvelamento
del presente fa apertamente luce su ciò
che siamo diventati
Restare solidali nella paura ci
permette di far valere una concezione universale di ciò che rende umani, la
prospettiva condivisa della cura e della responsabilità verso l’altro, inteso,
però, non solo come individuo che potenzialmente potremo infettare, ma come
mondo, natura, biosfera che abbiamo a lungo infettato.
Riconoscerci solidali vulnerabili,
interdipendenti ed esposti alla ferita e alla cura, mette in crisi le pretese
di autosufficienza di un sé sovrano, auto fondato, onnipotente, vendicativo,
protagonista assoluto di una storia di sopraffazioni.
Ormai credo sia chiaro che bisogna
rispettare rigorosamente le norme vigenti per contenere il virus, ma è
importante anche contenere la deriva socio-emotiva in tutte le sue forme per
trarre insegnamenti da questo momento.
Accettare l’agitazione del momento
ci consente di rallentare e dare inizio all’avventura del cambiamento. Nel
ritiro si rievocano potenzialità rimosse, si riscopre l’energia rinnovabile
della compassione, auto-generante e auto curante. Dal ritiro si può sprigionare
un’incredibile energia nuova, calma, “ricettiva”, che amplia il nostro sentire,
solleva e sospinge la coscienza ad avvistare la vita laddove a lungo è stata
dimenticata.
Nessun commento:
Posta un commento