venerdì 22 maggio 2020

20 e 21 GIUGNO. BIOREGIONALISMO E STATI GENERALI DELL'ECOSOFIA NEL GIARDINO DELLA NATURA PROFONDA. NE PARLO CON ITALO CARRARINI

20 e 21 GIUGNO A TIVOLI
BIOREGIONALISMO E STATI GENERALI DELL'ECOSOFIA NEL GIARDINO DELLA NATURA PROFONDA.




Il 20 ed il 21 giugno a Tivoli ci ritroveremo tutti a parlare di ecologia profonda, bioregionalismo ed ecosofia. Lì avrò modo di presentare I diritti di Madre Natura. Sarà un appuntamento importante anche perché credo sia fondamentale, in questo periodo, inquadrare le cose nella giusta ottica, poiché tutti noi siamo chiamati ad un cambiamento straordinariamente affascinante. Di tutto questo ho avuto modo di parlare con Italo Carrarini



Allora Italo, cosa accadrà il 20 ed il 21 giugno a Tivoli?

Nello spirito che caratterizza il Bioregionalismo e l’Ecologia Profonda sabato 20 giugno, con proseguimento nella domenica 21 giugno, all’interno dell’area archeologica del “Casale Anio Novus” a Tivoli, andremo ad inaugurare una piccola aiuola di 11 mq circa ideata nel 2003 in concomitanza con il mio trasferimento dalla città alla campagna.
Tra gli interstizi dei 36 moduli in travertino (la tipica pietra di Tivoli con incisi i nomi di altrettanti botanici, naturalisti, ecologisti e bioregionalisti dipinti a vernice luminescente in modo da rendere i nomi appena percettibili di giorno e appena percettibili di notte), posizionati su un vasto prato mantenuto, lascerò crescere flora ed erbe spontanee del luogo senza più toccarle. Si tratta di una porzione di prato che, lasciato incolto, rivelerà nel tempo tutta la sua spontanea bellezza nel contrasto con il circostante prato manutenuto…
Un piccolo segno per riunire anime ecologiste…  un luogo di riconciliazione attorno al quale raccontarsi esperienze di vita in chiave bioregionale e di ecologia profonda…
Se il trend sulla circolazione del virus si confermerà favorevole alla ripresa delle attività culturali all'aperto, tutto questo potrà avvenire nella Valle dell’Empiglione, tra Tivoli e Castel Madama, a poco più di 3 km dal centro abitato di Tivoli e a circa 1,5 km dal Casello Autostradale di Castel Madama della A24 “Roma – L’Aquila – Teramo” all’interno di un’area ove insiste un biolago balneabile situato a ridosso delle imponenti arcate dell’acquedotto romano “Anio Novus” che, scavalcando la via Empolitana e il fosso di Empiglione, continuano a caratterizzare l’immagine del paesaggio tiburtino-trebulano. I resti, ancora visibili, costituiscono una delle affermazioni più alte delle avanzate tecniche ingegneristiche e del notevole livello di civilizzazione che il mondo romano esportò in tutto l’Impero, suscitando l’ammirazione non solo degli autori antichi ma anche di artisti e letterati che compirono il ‘Grand Tour’ in Italia.
Già da tempo con alcuni amici bioregionalisti, tra cui Paolo D'Arpini, Caterina Regazzi, Maria Sonia Baldoni ed altri, pensavamo di svolgere l’inaugurazione dell’aiuola a ridosso del solstizio d’estate, nell’ambito di un incontro di condivisione tra le varie anime del bioregionalismo e dell'ecologia profonda.
Per tale iniziativa sono stati richiesti e ottenuti i patrocini morali ai tre Comuni territorialmente competenti sull’area, ovvero a Tivoli, San Gregorio da Sassola e Castel Madama, mentre i gestori del Casale Anio Novus, dove verrà installata in via permanente l'aiuola denominata “Giardino della Natura Profonda”, metteranno a disposizione gli spazi disponibili nelle due giornate.
Tutto questo sarà possibile grazie alla fattiva collaborazione dell’Associazione Culturale L’Arca di Corrado di Anticoli Corrado e della Condotta Slow Food Tivoli e Valle dell’Aniene. Altrettanto fondamentale il ruolo svolto dalla Pro Loco di Castel Madama e da numerose altre realtà istituzionali ed associative che hanno risposto con vivo entusiasmo al progetto.

Cosa è esattamente il bioregionalismo?

Per Snyder - poeta dell’ecologia profonda e figura centrale della controcultura degli anni ’60, considerato uno dei principali ispiratori del bioregionalismo - il dibattito cruciale nel mondo ambientalista contrappone chi parte da una mentalità antropocentrica di gestione delle risorse e chi propone valori che riflettono la consapevolezza dell’integrità della Natura nella sua interezza. Quest’ultima posizione, quella dell’Ecologia Profonda (neologismo coniato dal filosofo e alpinista norvegese Arne Næss per descrivere qualcosa che già era e che faceva parte del nostro sentire ancestrale) è più vivace, coraggiosa, conviviale, rischiosa e scientifica.
Mai come oggi il futuro apre ad una molteplicità di scenari, dai più catastrofici e drammatici, ai più creativi e spirituali. Tuttavia, le tendenze autodistruttive di scala planetaria e tutte le contraddizioni che si stanno delineando a causa dei meccanismi omologanti messi in atto da politiche che non sempre tengono conto dei corretti indicatori del benessere delle persone e della biosfera, ma solo dei fallaci dati del PIL, trovano spiragli ottimistici grazie alla prospettiva bioregionale.
Come lo stesso Snyder ricorda abbiamo ancora l’opportunità di imparare dalle culture tradizionali del posto, perché se è vero che il futuro è nelle nostre mani, per imparare di nuovo a vivere nel proprio luogo è necessario compiere uno sforzo che porti al superamento dei “confini artificiali” e ritornare al mondo naturale, con i bacini fluviali e le connessioni ecologiche come sottofondo principale per il nostro abitare.
Tale approccio lo accomuna non solo a Thomas Berry (1914-2009), ecoteologo e storico delle culture per il quale la Terra esprime se stessa non in territori omogenei ma in varie regioni differenti l’un l’altra, per cui abbiamo solo bisogno di ascoltare ciò che la Terra ci sta dicendo, ma anche a Peter Berg (1937-2011), altra anima del bioregionalismo, secondo il quale la bioregione è tanto il terreno geografico quanto il terreno della coscienza.
Eduardo Zarelli, saggista e pubblicista convinto sostenitore di decrescita, comunitarismo e bioregionalismo, ben chiarisce il significato del termine “bioregione” composto della parola greca bio, che significa vita e “regione” derivata dal latino regere, cioè governare; quindi la vita che si autogoverna nel limite biotico di un territorio abitato, un luogo definito dalle forme di vita che vi si svolgono piuttosto che da decreti legge: “una regione governata dalla natura”.
Questa sensibilità, come pratica di un’ecologia locale, viene riaffermata anche in un suo articolo del 2007 in cui scriveva: «La pluralità delle identità comunitarie evita i rischi di accentramento del potere e quindi di colonialismo o imperialismo. La complementarietà e lo sviluppo di una fitta rete di relazioni intercomunitarie - tra cui la sussidiarietà e l’interdipendenza - possono definire con sufficiente approssimazione l’intento di un “federalismo ecologista”, di assoluta attualità dato il destino tecnocratico dell’unità europea.
Il problema di fondo è di ripensare pluralisticamente il mondo fuori dall’Occidente, dal suo universalismo monistico e dalla sua centralità etnocentrica rispetto alla quale tutto diventa periferia. Bisogna comprendere, per dirla con Mircea Eliade, che “in ogni posto c’è un centro del mondo” possibile. E quel “centro del mondo” è, per ogni uomo, la sua identità personale e comunitaria, il suo specifico territorio umano, naturale e culturale, supportato dalla biodiversità. Saranno la reciprocità economica, il paritario scambio culturale, il viaggio e l’ospitalità a tessere, come capi opposti di un unico filo, le trame di una convivenza qualitativa tra le diversità, appagando la necessità profonda, per noi moderni, di ritrovare nel contatto e nel confronto con l’altro da sé, la radice della nostra cultura, la risposta al disagio esistenziale indotto dalla civilizzazione di massa: una risposta alla insopprimibile ansia di radicamento».
Fondata nel 1996 come incontro di varie realtà che si riconoscono nella visione dell’ecologia profonda e del bioregionalismo, la “Rete Bioregionale Italiana” consente libertà di azione locale e il perseguimento di fini comuni, collegati e coniugati ai diversi territori e tematiche bioregionali.
«La bioregione - recita testualmente il Documento d’Intesa della Rete Bioregionale Italiana - è un luogo geografico riconoscibile per le sue caratteristiche di suolo, di specie vegetali ed animali, di clima, oltre che per la cultura umana che da tempo immemorabile si è sviluppata in armonia con tutto questo.
Per bioregionalismo si intende la volontà di ri-diventare nativi del proprio luogo, della propria bioregione. Possiamo fare tutte le scoperte possibili, usare la tecnica, la scienza; possiamo andare sulla luna e comunicare via satellite, ma alla base della nostra sopravvivenza fisica, psichica e spirituale vi sono questi alberi, queste erbe, questi animali, queste acque, questo suolo del luogo dove viviamo. L’evoluzione sociale e tecnologica è ecologicamente compatibile solo in “piccola scala”, localmente, e se rimane ancorata ad una visione olistica del sapere.
L’idea bioregionale consiste essenzialmente nel riprendere il proprio ruolo all’interno della più ampia comunità di viventi e nell’agire come parte e non a parte di essa, correggendo i comportamenti indotti dall’affermarsi di un sistema economico e politico globale, che si è posto al di fuori delle leggi della natura e sta devastando, ad un tempo, la natura stessa e l’essere umano.
Alla domanda: «Il bioregionalismo è solo un movimento culturale o anche politico?» Gary Snyder, in una dichiarazione rilasciata nel corso di un’intervista del febbraio 2005 rispose: «Il nostro è soprattutto un movimento educativo che tende all’autogoverno all’interno delle strutture presenti. Uno dei motivi per cui il bioregionalismo è nato in Nord America, prima che in altri paesi, è perché qui da noi i confini politici tra i vari stati non hanno niente a che fare con quelle che sono le caratteristiche orografiche e biologiche dei vari paesi, sono solo linee rette che tagliano a metà colline, montagne e fiumi. Quello che proponiamo è rivalutare le bioregioni, disegnate secondo i confini naturali tracciate dai rilievi montuosi, ma questo non per sottolineare la specificità etnica o linguistica di un’area, ma per gestirne meglio le risorse idriche, agricole e forestali. Spesso il decentramento e il federalismo mascherano nuove forme di nazionalismo, decisamente di destra e potenzialmente fascista; mentre il nostro slogan è: “Pensare globalmente, agire localmente”».

In Italia credi possa ragionarsi in termini bioregionali?

Come riportato nel  Documento d’Intesa fondativo della Rete Bioregionale Italiana, l’idea bioregionale è ispirata dai sistemi naturali selvatici; per sua natura, pertanto, si esprime attraverso la forma decentrata.
A tal riguardo, in un mio articolo del 2017 ebbi modo di riportare il pensiero dell’amico Paolo D’Arpini uno dei fondatori del Movimento Bioregionale in Italia sin dai tempi in cui risiedeva a Calcata. Partendo dall’assunto che il bioregionalismo si riconosce soprattutto nelle identità locali individuate principalmente nell’ambito municipale e provinciale (ambiti territoriali in cui una comunità di solito irradia la sua influenza culturale), Paolo ribadiva la necessità di restituire dignità e salvaguardare i diritti delle piccole comunità locali.
Tuttavia le Regioni, così come impostate e studiate a tavolino, si pongono come stati antagonisti sia per lo Stato Italiano che per l’Europa stessa che faticosamente sta cercando di trovare un’identità condivisa.
A suo dire se degli Enti inutili vanno eliminati, bene sarebbe abolire le Regioni, ritenute mini-stati all’interno dello Stato, che non rappresentano interessi di omogeneità culturale e bioregionale, ma solo di gestione economica e partitica.
«Il bioregionalismo - sostiene D’Arpini - riportando in auge sia il rispetto della vita in termini di ecologia profonda sia il riconoscimento dell’identità locale, è l’unico metodo che possa garantire equanime distribuzione e pari dignità alle diverse presenze degli abitanti della Comunità Europea. Quindi l’Europa, politicamente unita, andrebbe suddivisa in ambiti bioregioniali (e non in Regioni o in Macro-Regioni, come proposto da alcune forze politiche), poiché abbiamo visto che le amministrazioni Regionali per loro natura tendono ad essere separative e indifferenti agli interessi delle comunità locali (dovendo infatti difendere la loro strutturazione spuria ed anomala rispetto alla identità bioregionale)».
Interpellato in merito all’ipotesi di una “Ristrutturazione del Lazio” in chiave bioregionale, riporto di seguito quanto da lui stesso riferitomi: «Negli ultimi anni è andata maturando una coscienza ecologica e sociale, una considerazione delle diverse necessità delle varie realtà urbane e suburbane, che richiede una revisione generale degli attuali modelli e confini regionali.
Tanto per cominciare esiste la realtà dei grandi agglomerati metropolitani, come ad esempio Roma, ed esiste poi la realtà delle piccole città, dei villaggi e del territorio agricolo e boschivo. Va da sé che l’amministrazione di entità che manifestano differenze così sostanziali non può essere gestita in modo “centralistico”, che altrimenti gli interessi dei grossi agglomerati porterebbe alla fagocitazione e rovina dei centri meno popolosi ed al loro snaturamento. Anche l’istituzione delle cosiddette “aree vaste”, per una collaborazione intercomunale nei servizi, etc., non aiuterebbe il mantenimento dell’identità locale se non corroborata dall’esigenza primaria della conservazione dell’habitat e delle risorse naturali.
In Europa già da tempo si sta attuando una politica “decentrativa” separando l’amministrazione delle grandi città da quella del territorio extraurbano. Ad esempio vedasi Parigi oppure Monaco di Baviera, entrambe definite “Città Regione” indipendenti dal resto del territorio.
In Italia se osserviamo la situazione amministrativa del Lazio, vediamo che l’ente Roma Capitale è solo un’operazione d’inglobamento delle realtà rurali limitrofe con accorpamento del territorio provinciale. Secondo il criterio bioregionale da noi proposto, invece, Roma ed una ristretta area metropolitana dovrebbe assurgere allo status di Città Regione.
E a quel punto non vi sarebbe nulla di strano nello scorporare l’amministrazione regionale in due enti: Roma Capitale e Lazio storico. Se ciò avvenisse, come avrebbe dovuto già avvenire, questo riaggiustamento sarebbe un buon sistema di rivalutazione per il territorio e per le piccole comunità.
L’attuale perimetrazione del Lazio, ricordiamolo, è il risultato di un ragionamento politico accentrativo (attuato subito dopo l’unità d’Italia e successivamente durante il fascismo) il cui risultato fu lo smembramento delle realtà amministrative preesistenti. Ovvero la Tuscia storica fu smembrata fra la Toscana e il Lazio, e qui ancora separata in Tuscia viterbese e Tuscia romana. Altrettanto accadde con i centri della Sabina, con Rieti tolta all’Umbria e con diversi altri centri inseriti nella provincia romana e così pure avvenne nella Ciociaria, suddivisa fra Roma e Frosinone, e nella provincia di Latina creata ex novo in seguito alla bonifica pontina ed integrata da territori dell’ex Regno di Napoli.
A ben guardare, l’identità bioregionale di Roma Capitale ed area metropolitana, in senso stretto, dovrebbe corrispondere agli stretti limiti dell’espansione urbana e adiacenze.
Poiché è ovvio che le realtà civiche periferiche della attuale provincia di Roma andrebbero restituite ai loro ambiti originari, anche per un riequilibrio nel numero degli abitanti.
Altrimenti, se tale operazione di riequilibrio non fosse attuata, la nuova Regione metropolitana di Roma, se compresa negli attuali confini della sua provincia, raggrupperebbe oltre i quattro quinti dei residenti totali nel Lazio, il che non aiuterebbe assolutamente il territorio a crescere, dovendo soddisfare le esigenze di servizi passivi da parte della metropoli. La metropoli deve imparare ad essere autosufficiente».

Cosa è l' Ecologia Profonda?

In un post dell’ottobre 2012, l’ecologista e avvocato Fabio Balocco poneva in evidenza la crisi dell’ambientalismo italiano, riferendosi in particolare a quei movimenti e a quelle associazioni ambientaliste formalmente riconosciute dal Ministero dell’Ambiente. Per lui queste associazioni soffrono di vecchiaia e fanno spesso autogol mostruosi.
«Il movimento ambientalista italiano - scriveva Balocco - aderisce da sempre ad una corrente, che viene definita ‘ecologia superficiale’. Cos’è  l’ecologia superficiale? È, detto molto rozzamente, quel settore dell’ambientalismo che non mette in discussione i fondamenti della nostra società, ma ritiene che alla stessa debbano essere apportati semplici aggiustamenti. Detto altrimenti, l’ecologia superficiale aderisce al cosiddetto ‘sviluppo sostenibile’, locuzione coniata nel 1987 e adottata anche dall’IUCN - The World Conservation Union, cui aderiscono appunto le maggiori associazioni ambientaliste. Quindi, non è necessario mettere in discussione lo sviluppo, ma occorre reindirizzarlo. Ma di ecologia esiste anche un’altra branca, l’‘ecologia profonda’ (definizione coniata da Arne Næss), la quale sostiene che occorre ripensare l’evoluzione della società, che essa non deve necessariamente svilupparsi, ma anzi deve trovare un modus vivendi con la natura di tipo olistico, di interazione e rispetto. L’ecologia profonda mette pertanto in crisi lo sviluppo inteso come necessità, a favore di un altro modello di vita, non più antropocentrico. […]. Del resto, l’ecologia superficiale è un’invenzione di sana pianta che nulla ha a che fare con i padri dell’ambientalismo, come Thoreau, Emerson, Muir, che sicuramente sono più assimilabili ai canoni dell’ecologia profonda. Appare altresì chiaro agli occhi di chi è attento alle cose di questo mondo, che non esiste un altro sviluppo diverso da quello attualmente in atto. E che ‘sviluppo sostenibile’ è una contraddizione in termini: o scegli lo ‘sviluppo’ o scegli la ‘sostenibilità’. Delle due l’una, ma ambedue non convivono. Non è pertanto assolutamente strano che chi oggi vuole impegnarsi in campo ambientale non dia la delega ad associazioni che appaiono vecchie nella struttura, contraddittorie ed in ritardo sui tempi».
Senza addentrarci troppo in dettagli a tutti evidenti, molte associazioni agiscono frequentemente come gruppi di pressione puntando sulla salvaguardia di obiettivi specifici o circoscritti a particolari ambiti di interesse, mettendosi a disposizione, in occasione delle competizioni elettorali, per convogliare i voti di associati e simpatizzanti su candidati di partiti o di liste che abbiano dato prova di sensibilità ambientalista.
In continuità con atteggiamenti mentali e pratici unificatori, ravvisati in epoche storiche remote, nel 1973 il filosofo e alpinista norvegese ArneNæss distinse categoricamente l’ecologia in superficiale ‘Shallow Ecology’ e in profonda ‘Deep Ecology’, contribuendo a descriverne le basi teoriche.
Mentre la prima espressione assegna alla Natura un valore esclusivamente strumentale o di ‘utlizzo’, la seconda non separa né gli esseri umani, né altra cosa dall’ambiente naturale, e va ben oltre l’analisi superficiale dei problemi ambientali propria della scienza ecologica classica, aprendo ad una visione completa e totalizzante del mondo. Næss afferma il diritto a vivere di tutte le forme di vita come diritto universale che non può essere quantificato, significando come nessuna specie vivente possa beneficiare maggiormente del particolare diritto di vivere e riprodursi più di qualsiasi altre specie. È un’idea per la quale non possiamo operare alcuna scissione ontologica netta nel campo dell’esistenza, un’idea metafisica: ove noi e tutti gli altri esseri siamo solo ‘sfaccettature’di una singola realtà in svolgimento.
L’approccio del filosofo emerge con chiara evidenza in apertura di ‘Loop’ (Ciclo infinito, 78’, regia di Sjur Paulsen), un film che lo vede da protagonista (già novantaquattrenne), pronto al suo monologo in uno studio di una radio di Oslo. Il film è un’indagine sulla relazione dell’uomo moderno con il nostro tempo, visto attraverso gli occhi di alcune persone dei nostri giorni che hanno scelto l’estremo come stile di vita. Sul fondo nero dello studio si vede solo il volto raggrinzito e sereno di Næss, che in solitudine dichiara: «Diciamo che andiamo ‘fuori’ nella natura, ma io direi che andiamo ‘nella’ natura. Quando vai nella natura selvaggia hai l’opportunità di ascoltare te stesso, di ascoltare la tua anima più profonda: Cosa voglio? Cosa mi piace? Cosa non mi piace? Come può la mia… chiamiamola ‘qualità della vita’ essere mantenuta o migliorata? Non si tratta di beni o di qualità ma di ciò che senti di essere, di come percepisci la vita. Che cosa ci rende felici? E come possiamo averne di più? Esistono delle forze molto potenti nella società che ci vorrebbero indurre a consumare sempre di più, a scoprire cose di cui pensiamo di aver bisogno. Si crea uno stile di vita che non potrà mai appartenere a tutti semplicemente perché in tal modo il mondo andrebbe a rotoli. Invece dovremmo seguire un nostro personale stile di vita in cui cercare di capire di cosa abbiamo veramente bisogno, anziché aspirare a ciò che ci propinano la società o l’economia. Quindi l’essere è molto più importante dell’avere».
Tale visione viene in qualche modo richiamata anche dall’austriaco Fritjof Capra (1939), fisico e teorico dei sistemi della complessità, nonché autore de ‘Il Tao della Fisica’ (1975). Nel 1997 scrisse: «Il potere del pensiero astratto ci ha condotto a considerare l’ambiente naturale - la trama della vita - come se consistesse di parti separate, che diversi gruppi di interesse possono sfruttare. Inoltre, abbiamo esteso questa visione frammentata alla società umana, dividendola in differenti nazioni, razze, gruppi politici e religiosi. Il fatto di credere che tutte queste parti - in noi stessi, nel nostro ambiente e nella nostra società - siano realmente separate ci ha alienato dalla Natura e dai nostri simili, e ci ha quindi sviliti. Per riconquistare la nostra piena natura umana, dobbiamo riconquistare l’esperienza della connessione con l’intera trama della vita. Questo riconnettersi, ‘religio’ in latino, è la vera essenza del fondamento spirituale dell’ecologia profonda. […]. Per l’ecologia profonda - continua Capra - la questione globale dei valori è decisiva; è, infatti, la caratteristica centrale che la definisce.
È una visione del mondo che riconosce il valore intrinseco delle forme di vita non umana. Tutti gli esseri viventi sono membri di comunità ecologiche legate l’una all’altra in una rete di rapporti di interdipendenza. Quando questa concezione ecologica profonda diventa parte della nostra consapevolezza di ogni giorno, emerge un sistema etico radicalmente nuovo. Oggi la necessità di una tale etica ecologica profonda è urgente, soprattutto nella scienza, dato che gran parte di ciò che fanno gli scienziati non serve a promuovere la vita né a preservarla, ma a distruggerla.[…]. Nel contesto dell’ecologia profonda, l’idea che i valori sono insiti in tutto ciò che è parte vivente della Natura, ha le sue basi nell’esperienza ecologica profonda, o spirituale, che la Natura e l’Io sono una cosa sola. Questa dilatazione totale dell’Io fino all’identificazione con la Natura è il fondamento dell’ecologia profonda.[…]. Ne consegue che il rapporto fra una percezione ecologica del mondo e un comportamento corrispondente non è un rapporto logico ma psicologico. Dal fatto che siamo parte integrante della trama della vita, la logica non ci conduce a delle regole che ci dicano come dovremmo vivere. Tuttavia, se abbiamo la consapevolezza ecologica profonda, o l’esperienza, di far parte della trama della vita, allora vorremo (e non dovremo) essere inclini ad aver rispetto per tutto ciò che è parte vivente della Natura. In effetti, non possiamo fare a meno di reagire in questo modo».
Quanto sopra viene riconfermato anche da Guido Dalla Casa con questa puntuale distinzione: «Mentre nell’ecologia di superficie la Terra va rispettata perché è di tutte le generazioni presenti e future, nell’ecologia profonda la specie umana non è depositaria né proprietaria di alcunché».
Per lo scrittore e studioso di ecologia profonda «Oggi abbiamo superato nel mondo i sette miliardi di umani, numero assolutamente intollerabile per l’ecosistema terrestre. Inoltre si estinguono 20-30 specie di viventi ogni giorno, ad un ritmo diecimila volte più grande di quello naturale. Ogni anno scompaiono 100.000 kmq di foreste, ecosistemi ricchissimi di biodiversità. L’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre aumenta di 3 ppm all’anno. Il consumo di territorio è elevatissimo e questo è un problema particolarmente grave in Italia. Oggi l’uomo non si rende neppure conto che sta togliendo lo spazio vitale agli altri esseri senzienti e che la vita della Terra si basa sulle sue capacità omeostatiche, o capacità di autodifendersi dai cambiamenti troppo drastici. Tale capacità del ‘Complesso’ si basa sulla biodiversità, cioè sul grande numero di specie ed ecosistemi in continua interazione reciproca. […]. L’atteggiamento umano di maggioranza nei confronti della ‘Natura’ nasce in sostanza dall’idea di base di esserne al di sopra, o al di fuori, e quindi in grado di manipolare a piacimento tutto quanto ci circonda: manca la percezione di essere un componente di una ‘Entità’ molto più grande, di un ‘Organismo’ che ha le sue necessità vitali».

Avrò anche io l'onore di partecipare presentando il mio libro. Cosa ne pensi di riconoscere diritti alla Natura?

Sono in ogni caso favorevole. Da noi l’idea di conferire personalità giuridica alla natura risale agli anni ‘70 con lo scritto di Christopher D. Stone “Should trees have a standing? Towards legal rights for natural objects. Secondo Stone, accordare personalità giuridica alla natura avrebbe sortito due conseguenze: essere rappresentata in tribunale e non essere di fatto più posseduta.
Come ben racconti nel tuo libro “I diritti di Madre Natura” che verrai a presentare a Tivoli attorno al “Giardino della Natura Profonda”,  è in atto una inesorabile presa di consapevolezza riguardo all'importanza dei temi ambientali. Attraverso l’esempio della straordinaria Costituzione dell’Ecuador chiarisci come i sistemi giuridici possono essere armonizzati a nuovi principi che abbiano la loro fonte primaria nell’Universo, come spazio in cui si manifestano le forme del vivente e come diritto della natura ad esistere formalizzato nel 2008, seguito tre anni più tardi dalla Bolivia. Grandi passi in avanti in questo senso sono stati compiuti anche dalla Colombia che ha riconosciuto alle foreste gli stessi diritti legali delle persone.
Certo è che c’è ancora molto da lavorare per far sì che i diritti della natura vengano riconosciuti, anche perché il principale dubbio degli esperti sembra riguardare in particolar modo il riconoscimento del rappresentante legale della natura.

Chi volesse partecipare come può fare?

Può tranquillamente dare adesione al mio numero di cellulare: 3345270299 o alla mia mail: italo.carrarini53@gmail.com
Resta inteso che l’incontro si attuerà nel momento in cui sarà di nuovo possibile spostarsi da regione a regione, nei modi di legge e con le prescrizioni che verranno di volta in volta impartite dalle autorità locali.

Ci consigli una lettura?

Di letture da consigliare ce ne sono tantissime, ma anche qui tutto è legato ad un percorso personale. Confesso che un testo che ha in qualche modo risvegliato il mio sentirmi in natura è “La Rivoluzione del Filo di Paglia” di Masanobu Fukuoka. Un libro prezioso perché è contemporaneamente pratico e filosofico, non propriamente bioregionalista; un libro necessario e ispiratore per quanto riguarda l’agricoltura perché non parla solo di agricoltura.
Prima di altri, Fukuoka ha capito che non possiamo isolare un aspetto della vita da un altro. Quando cambiamo il modo di coltivare il nostro cibo, cambiamo il nostro cibo, cambiamo la società, cambiamo i nostri valori. Questo libro spiega come fare attenzione ai rapporti fra tutte le cose, alle cause e agli effetti e parla dell’essere responsabili per quello che si conosce.
Quando Fukuoka parla di quelli che chiama i suoi metodi agricoli del «non fare», un occidentale potrebbe opportunamente ricordare Matteo 6,26: «Seguite con lo sguardo questi esseri che volano nel cielo: non fanno né semina né mietitura, né hanno granai per ammassarvi qualcosa. È vostro padre, quello celeste, che pensa a nutrirli».
Come riportato in prefazione da Wendell Berry, quella di Fukuoka è una scienza che comincia e finisce nel rispetto, nella consapevolezza che l’umana ragione necessariamente degrada qualunque cosa afferra. Non è il sapere che ci dà il senso della completezza, ma la gioia, che possiamo avere soltanto senza afferrare.
«Quando si capisce che si perde la gioia e la felicità nello sforzo di possederle, si arriva all’essenza dell’agricoltura naturale».
E questa agricoltura «naturale» che ha la sua origine e la sua fine nel rispetto è dappertutto umana e sensibile. Gli esseri umani lavorano al meglio quando lo fanno per il bene della gente piuttosto che per una «maggiore produzione» o per «più efficienza», che sono stati gli obiettivi quasi esclusivi dell’agricoltura industriale. «Lo scopo vero dell’agricoltura» dice Fukuoka, «non è far crescere i raccolti, ma la coltivazione e il perfezionamento degli esseri umani». E parla dell’agricoltura come di una via: «Essere qui, prendendosi cura di un piccolo campo, in pieno possesso della libertà e pienezza di ogni giorno, quotidianamente: questa deve essere stata la via originaria dell’agricoltura». Un’agricoltura completa nutre l’intera persona, corpo ed anima. Non si vive di solo pane.
Grazie a questo libro ho chiarito meglio a me stesso cosa è necessario fare e non fare anche in arte… e il tempo mi ha ricondotto al campo di casa, al lavoro nell’orto e alle lunghe escursioni in natura che sono poi i temi che propongo nei miei interventi.









giovedì 7 maggio 2020

QUESTA MATTINA COL PICCOLO MICHELE NEL BUZZY E ROBERTA ALLE CALCAGNA SONO ANDATO A VEDERE CHE ARIA TIRA NEL PARCO DEI CAMALDOLI


Questa mattina col piccolo Michele nel buzzy e Roberta alle calcagna sono andato a dare un'occhiata al Parco dei Camaldoli.
Trovo inaccettabile la sua chiusura a tempo indefinito.
Per chi volesse saperne di più consiglio di:

CLICCARE QUI

Lungo la strada mi sono anche imbattuto in sentieri di collegamento verde ovviamente chiusi


Eppure la bellezza dei luoghi era disarmante




domenica 3 maggio 2020

L'IMPORTANZA DELLA RIFORESTAZIONE: NE HO PARLATO CON PAOLA DI CUIA DELL'ASSOCIAZIONE ROCCIAVIVA



La riforestazione è un tema di stringente attualità. Ho avuto modo di parlarne con Paola Di Cuia dell'Associazione Rocciaviva.

Chi volesse sostenere l'Associazione con sottoscrizioni, col 5 x 1000 o in altro modo, può scoprire come farlo collegandosi al sito, nella sezione "contattaci".



Di seguito invece potrete vedere un video che fa comprendere bene lo spirito dell'Associazione.





giovedì 30 aprile 2020

ERBE SPONTANEE E RIGENERAZIONE DEI SUOLI: NE HO PARLATO CON DANIELE MATONTI




L'intervista a Daniele Matonti, autore di un interessantissimo Manuale di Riconoscimento delle erbe spontanee, è anche l'occasione per presentare il suo nuovo lavoro.
Per chi, ascoltando il video, avesse maturato interesse e volesse sostenere il crowdfunding può farlo


martedì 28 aprile 2020

Il QI GONG PUO' ESSERE UTILE PER FRONTEGGIARE IL CORONAVIRUS: INTERVISTA AL MAESTRO DANIELA MONETTI


 "I movimenti del Qi Gong sono tutti ispirati alla natura ed a i suoi elementi". Vi invito a leggere quest'intervista col Maestro di Qi Gong e Taiji Quan, IV Dan-Coni Italia, Daniela Monetti





Daniela, ci dici cosa è esattamente il Qi Gong?

È un metodo di “ginnastica” cinese, dai movimenti fluidi e lenti e si pratica per il benessere psicofisico,
preferibilmente all'aria aperta perché i movimenti del Qi Gong sono tutti ispirati alla natura ed ai suoi elementi.

Il Qi Gong è un vero e proprio metodo, un’Arte dai principi millenari, medici e luminari cinesi hanno testimoniato ed ampliato il pensiero dei grandi filosofi, Confucio e Lao Tzu, rivolgendo l’attenzione su come l’uomo potesse migliorare la sua esistenza mirando alla longevità.

Nel tempo, sono pervenuti tessuti dipinti, incisioni su oggetti che raffiguravano posizioni, tecniche e sequenze di esercizi, praticati circa 300/400 anni a. C.

 Il termine Qi Gong (in passato Dao Yin) ci dice molto!
“Qi” si traduce in “Energia Vitale” circola nel nostro corpo e in tutto l’Universo, “Gong” si traduce in “Lavoro” esercizio, abilità, tecnica: l’Arte di coltivare la propria Energia.

Esistono centinaia Stili diversi di Qi Gong, ad oggi, la classificazione più diffusa è organizzata secondo la seguente linea filosofica: Qi Gong Alchemico, Qi Gong Taoista, Qi Gong Confuciano, Qi Gong Buddhista e Qi Gong Marziale.
Per la larga diffusione di scuole di Qi Gong nel continente, si riscontrano alcune modifiche negli esercizi, anche se i punti cardine, restano invariati per tutti gli Stili.

Nel Qi Gong si lavora potenziando e sfruttando la respirazione addominale: il respiro lento e profondo porta ad uno stato di calma interiore, alimentando il circuito di energia che circola nel corpo e nei nostri pensieri.
Contemporaneamente, durante i movimenti, si presta attenzione nel mantenere una buona e corretta postura e armonizzare l’organismo con l’ambiente esterno.

Il Qi Gong comprende esercizi statici e medio statici, in posizione eretta o seduta e da sempre si pratica con due scopi: terapeutico e marziale.

Il Qi Gong è Meditazione, può avvenire in silenzio o attraverso una voce guida!

Alla domanda cosa è esattamente il Qi Gong rispondo: il Qi Gong è un metodo da vivere e da scoprire, non si finisce mai di studiare, è uno stile di vita… e perché no, un’Arte da “raccontare” per avvicinare le persone alla pratica!

In questo momento in Cina si pratica il Qi Gong per fronteggiare il CORONAVIRUS. Oltre alla popolazione vediamo impegnati molti Medici, infermieri e pazienti.
In altri Paesi un grande numero di Maestri di Qi Gong, stanno tenendo incontri di lezioni tramite videochiamate di gruppo proponendo, tra i tanti esercizi del Qi Gong, i più adatti per rafforzare le difese immunitarie, ovvero, gli “Otto Pezzi di Broccato”.



 In che senso è connesso alla Medicina Tradizionale Cinese?

Più che connesso, il Qi Gong si basa sugli stessi principi della Medicina Tradizionale Cinese che lo rende parte inscindibile. Mira a ripristinare la circolazione energetica dell’individuo tramite la costante ricerca dell’equilibrio tra le Energie “Yin” e  “Yang” (in continua trasformazione tra loro che danno origine all'Energia “Qi”).
In molti hanno sentito parlare di “Yin” e “Yang” come “positivo” e “negativo”, anche se è più appropriato dire “Vuoto” e “Pieno”.
Nella Medicina Cinese e nel Qi Gong, i nostri organi interni, le nostre emozioni, i nostri movimenti, la respirazione, il cibo… tutto, contiene Yin e Yang, energie, che non devono subire deficit (Vuoto) o eccessi (Pieno), ma devono essere in equilibrio e armonia tra loro.

Il Qi Gong lavora ed agisce sugli stessi punti dell’agopuntura che influenzano organi interni, tessuti e tutta la persona considerata microcosmo!
Il discorso è talmente vasto che mi limito a sottolineare l’importanza del Qi Gong nel tenere tonificato il fisico, vigorosi gli organi interni del nostro corpo oltre all’allenamento mentale.

Il Qi Gong è una medicina, che non si acquista in farmacia!
Per mantenerci in buona salute, per migliorare la durata della nostra vita occorre molta pratica; il Qi Gong è considerato da sempre un vero e proprio sistema di prevenzione.



 Cosa è l'auto cura nel Qi Gong?

La pratica corretta e costante del Qi Gong aumenta tutte le funzionalità della persona, sincronizza il fisico e la mente, rende flessibili le articolazioni, i muscoli, i tendini, aiuta la circolazione sanguigna e migliora notevolmente la postura. Gli ineguagliabili esercizi che caratterizzano il Qi Gong, il continuo controllo della respirazione, l’intenzione mentale, fanno fluire liberamente l’energia coltivata, creando un forte senso di benessere naturale, aiuta a ristabilire uno stato di serenità e di calma, sviluppa un senso di consapevolezza del proprio corpo nello spazio.
Questo potenziamento, unito alla pratica costante ed assidua, rallenta il processo d’invecchiamento e allontana dolori e malattie.
Ecco perché è considerato un sistema di auto-cura che non esclude o sostituisce altri metodi.




Ho letto che i "meridiani" sono considerati come una sorta di autostrada dell'energia. Che tipo di visione c'è nell'ottica di chi pratica Qi Gong dell'energia?

Il “Qi” circola nei Meridiani, i Meridiani sono una rete di canali energetici, che attraversano tutto il nostro corpo. In Medicina Cinese per ripristinare l’equilibrio tra le energie si interviene mediante l’uso dell’agopuntura, della fitoterapia (erbe medicinali), della moxobustione, del tui na ed altri trattamenti complementari, dove il Qi Gong trova la sua ineguagliabile importanza, perché la persona, sotto la guida di un Maestro, compie un lavoro autonomo per la stimolazione dei Meridiani (alcuni usano dire stiramento dei meridiani).

Praticare correttamente e quotidianamente il Qi Gong è considerato un validissimo sistema per migliorare il campo energetico, accudire le energie, recuperare energie, imparare a sfruttarle senza sprechi e direzionarle in tutte le parti del corpo o all’occorrenza solo in alcune zone.

Numerosi studi effettuati in varie Università in America, Europa e Italia, dimostrano che la pratica del Qi Gong apporta un tangibilmente miglioramento psicomotorio sui praticanti.



Esiste un'età per poter praticare?

Il Qi Gong si pratica con due diversi scopi: terapeutico e marziale.
Terapeutico è consigliato a persone di tutte le età.
Marziale è rivolto ai giovani, perché richiede agilità fisica, le posizioni sono più basse, si potenzia il corpo per dirigere l’energia anche verso l’esterno (colpire l’avversario).




Nella filosofia del Qi Gong esiste un motivo per cui ci ammaliamo?

Il Qi genera o si trasforma in altre energie importanti; un eventuale “ingorgo” di energie crea delle ostruzioni, squilibri che possono diventare blocchi e causa di disturbi e malattia.

Il Qi Gong nella Medicina Cinese, ci insegna che gli organi importanti del corpo (Cuore, Polmoni, Milza, Fegato e Reni) si ammalano perché si creano dei blocchi energetici, influenzati anche dagli eventi stressanti e negativi della nostra vita quotidiana.
La nostra mente è pilota delle nostre emozioni: gioia, tristezza, rabbia, paura…, che non sempre sono in armonia tra loro e neppure con le emozioni del mondo esterno: caldo, freddo, vento …, questa disarmonia genera la malattia!



Mi pare di aver letto che gli "Otto Pezzi di Broccato" siano una pratica antichissima, che rimanda a tempi ancestrali. Cosa puoi dirci?

Gli Otto Pezzi di Broccato (in cinese Ba Duan Jin) detti anche Otto Pezze di Broccato, sono una tecnica di Qi Gong molto antica, alcune fonti dicono che all’epoca della dinastia Tang 618-907, gli esercizi (di numero maggiore), vennero creati dal monaco Shaolin Ling Qiu Shan. Il monaco visse ben 109 anni…un grande traguardo per la durata della vita ai suoi tempi!
Altre fonti risalgono all’epoca della dinastia Song 960-1279, raccontano che gli Otto Pezzi di Broccato furono sviluppati e definiti da Yue Fei, eroe e militare cinese, per potenziare la salute del suo esercito.

Si tratta di otto esercizi che vengono ripetuti singolarmente per otto volte formando un’unica sequenza.
Agiscono su tutta la costituzione e permettono una migliore circolazione di energia, lavorano principalmente su otto Meridiani detti Straordinari.

La definizione Otto Pezzi di Broccato evidenzia il valore del contenuto degli otto esercizi sulla salute; paragonandoli alla preziosità di otto fili di seta intrecciati tra loro per tessere il Broccato.

Chi volesse intraprendere la pratica di questa disciplina come può contattarti?

Sicuramente è possibile contattarmi tramite e-mail: danielamonetti@libero.it, oppure digitando sul web il mio nome e cognome, troverete vari riferimenti tra cui il profilo e la pagina Facebook e la mia presenza su Istagram e su YouTube.



Ci consigli un libro?

In giro si trovano centinaia di libri, manuali, articoli e riviste…
Se, poi, parliamo di testi antichi, tradotti e ritradotti, dobbiamo tener presente anche tutte le sfumature riportate…

Esistono testi scritti in modo eccellente ma, personalmente, preferisco consigliare la pratica di quest'Arte.
Il Qi Gong non si può apprendere dalla lettura di libri e di video.
Occorre studiare sotto la guida di Maestri esperti che ti permettono di acquisire tutti i benefici di questa disciplina facendoteli interiorizzare.
Comprendere, prima l'essenza del Qi Gong, per poi… arricchire dai libri il proprio bagaglio filosofico/culturale.




domenica 26 aprile 2020

giovedì 23 aprile 2020

"Bisogna imparare a respirare". Videocollegamento con Alessia Nastri sullo Yoga

"Bisogna imparare a respirare". Intervista con Alessia Nastri

Reputo che in questo momento sia decisamente importante dedicarsi a pratiche che ci conducano al cospetto delle parti più profonde del nostro  animo. Lo yoga sotto questo punto di vista è un percorso molto affascinante. Ne ho parlato con Alessia Nastri, che per l'appunto lo insegna. Chi volesse contattarla può scrivere ad alessianastri@hotmail.com