20 e 21 GIUGNO A TIVOLI
BIOREGIONALISMO E STATI GENERALI DELL'ECOSOFIA NEL GIARDINO DELLA NATURA PROFONDA.
Il 20 ed il 21 giugno a Tivoli ci ritroveremo tutti a parlare di ecologia profonda, bioregionalismo ed ecosofia. Lì avrò modo di presentare I diritti di Madre Natura. Sarà un appuntamento importante anche perché credo sia fondamentale, in questo periodo, inquadrare le cose nella giusta ottica, poiché tutti noi siamo chiamati ad un cambiamento straordinariamente affascinante. Di tutto questo ho avuto modo di parlare con Italo Carrarini
Allora Italo, cosa accadrà il 20 ed il 21 giugno a
Tivoli?
Nello spirito che caratterizza il Bioregionalismo e
l’Ecologia Profonda sabato 20 giugno, con proseguimento nella domenica 21
giugno, all’interno dell’area archeologica del “Casale Anio Novus” a Tivoli, andremo
ad inaugurare una piccola aiuola di 11 mq circa ideata nel 2003 in concomitanza
con il mio trasferimento dalla città alla campagna.
Tra gli interstizi dei 36 moduli in travertino (la tipica pietra di Tivoli con incisi i nomi
di altrettanti botanici, naturalisti, ecologisti e bioregionalisti dipinti a
vernice luminescente in modo da rendere i nomi appena percettibili di giorno e
appena percettibili di notte), posizionati su un vasto prato mantenuto, lascerò crescere
flora ed erbe spontanee del luogo senza più toccarle. Si tratta di una porzione
di prato che, lasciato incolto, rivelerà nel tempo tutta la sua spontanea
bellezza nel contrasto con il circostante prato manutenuto…
Un piccolo segno per riunire anime
ecologiste… un luogo di riconciliazione
attorno al quale raccontarsi esperienze di vita in chiave bioregionale e di
ecologia profonda…
Se il trend sulla circolazione del
virus si confermerà favorevole alla ripresa delle attività culturali all'aperto, tutto questo potrà avvenire nella Valle dell’Empiglione, tra Tivoli
e Castel Madama, a poco più di 3 km dal centro abitato di Tivoli e a circa 1,5
km dal Casello Autostradale di Castel Madama della A24 “Roma – L’Aquila –
Teramo” all’interno di un’area ove insiste un biolago
balneabile situato a ridosso delle imponenti arcate dell’acquedotto romano
“Anio Novus” che, scavalcando la via Empolitana e il fosso
di Empiglione, continuano a caratterizzare l’immagine del paesaggio
tiburtino-trebulano. I resti, ancora visibili, costituiscono una delle
affermazioni più alte delle avanzate tecniche ingegneristiche e del notevole
livello di civilizzazione che il mondo romano esportò in tutto l’Impero,
suscitando l’ammirazione non solo degli autori antichi ma anche di artisti e
letterati che compirono il ‘Grand Tour’ in Italia.
Già da tempo con alcuni amici bioregionalisti, tra cui
Paolo D'Arpini, Caterina Regazzi, Maria Sonia Baldoni ed altri, pensavamo di
svolgere l’inaugurazione dell’aiuola a ridosso del solstizio d’estate,
nell’ambito di un incontro di condivisione tra le varie anime del
bioregionalismo e dell'ecologia profonda.
Per tale iniziativa sono stati richiesti e ottenuti i
patrocini morali ai tre Comuni territorialmente competenti sull’area, ovvero a
Tivoli, San Gregorio da Sassola e Castel Madama, mentre i gestori del Casale
Anio Novus, dove verrà installata in via permanente l'aiuola denominata “Giardino della Natura Profonda”,
metteranno a disposizione gli spazi disponibili nelle due giornate.
Tutto questo sarà possibile grazie alla fattiva
collaborazione dell’Associazione Culturale L’Arca di Corrado di Anticoli
Corrado e della Condotta Slow Food Tivoli e Valle dell’Aniene. Altrettanto
fondamentale il ruolo svolto dalla Pro Loco di Castel Madama e da numerose
altre realtà istituzionali ed associative che hanno risposto con vivo
entusiasmo al progetto.
Cosa
è esattamente il bioregionalismo?
Per
Snyder - poeta dell’ecologia profonda e figura centrale della controcultura
degli anni ’60, considerato uno dei principali ispiratori del bioregionalismo -
il dibattito cruciale nel mondo ambientalista contrappone chi parte da una
mentalità antropocentrica di gestione delle risorse e chi propone valori che
riflettono la consapevolezza dell’integrità della Natura nella sua interezza.
Quest’ultima posizione, quella dell’Ecologia Profonda (neologismo coniato dal
filosofo e alpinista norvegese Arne Næss per descrivere qualcosa che già era e
che faceva parte del nostro sentire ancestrale) è più vivace, coraggiosa,
conviviale, rischiosa e scientifica.
Mai
come oggi il futuro apre ad una molteplicità di scenari, dai più catastrofici e
drammatici, ai più creativi e spirituali. Tuttavia, le tendenze autodistruttive
di scala planetaria e tutte le contraddizioni che si stanno delineando a causa
dei meccanismi omologanti messi in atto da politiche che non sempre tengono
conto dei corretti indicatori del benessere delle persone e della biosfera, ma
solo dei fallaci dati del PIL, trovano spiragli ottimistici grazie alla
prospettiva bioregionale.
Come
lo stesso Snyder ricorda abbiamo ancora l’opportunità di imparare dalle culture
tradizionali del posto, perché se è vero che il futuro è nelle nostre mani, per
imparare di nuovo a vivere nel proprio luogo è necessario compiere uno sforzo
che porti al superamento dei “confini artificiali” e ritornare al mondo
naturale, con i bacini fluviali e le connessioni ecologiche come sottofondo principale
per il nostro abitare.
Tale
approccio lo accomuna non solo a Thomas Berry (1914-2009), ecoteologo e storico
delle culture per il quale la Terra esprime se stessa non in territori omogenei
ma in varie regioni differenti l’un l’altra, per cui abbiamo solo bisogno di
ascoltare ciò che la Terra ci sta dicendo, ma anche a Peter Berg (1937-2011),
altra anima del bioregionalismo, secondo il quale la bioregione è tanto il
terreno geografico quanto il terreno della coscienza.
Eduardo
Zarelli, saggista e pubblicista convinto sostenitore di decrescita,
comunitarismo e bioregionalismo, ben chiarisce il significato del termine
“bioregione” composto della parola greca bio,
che significa vita e “regione” derivata dal latino regere, cioè governare; quindi la vita che si autogoverna nel
limite biotico di un territorio abitato, un luogo definito dalle forme di vita
che vi si svolgono piuttosto che da decreti legge: “una regione governata dalla
natura”.
Questa
sensibilità, come pratica di un’ecologia locale, viene riaffermata anche in un
suo articolo del 2007 in cui scriveva: «La pluralità delle identità comunitarie
evita i rischi di accentramento del potere e quindi di colonialismo o
imperialismo. La complementarietà e lo sviluppo di una fitta rete di relazioni
intercomunitarie - tra cui la sussidiarietà e l’interdipendenza - possono
definire con sufficiente approssimazione l’intento di un “federalismo
ecologista”, di assoluta attualità dato il destino tecnocratico dell’unità
europea.
Il
problema di fondo è di ripensare pluralisticamente il mondo fuori
dall’Occidente, dal suo universalismo monistico e dalla sua centralità
etnocentrica rispetto alla quale tutto diventa periferia. Bisogna comprendere,
per dirla con Mircea Eliade, che “in ogni posto c’è un centro del mondo”
possibile. E quel “centro del mondo” è, per ogni uomo, la sua identità
personale e comunitaria, il suo specifico territorio umano, naturale e
culturale, supportato dalla biodiversità. Saranno la reciprocità economica, il
paritario scambio culturale, il viaggio e l’ospitalità a tessere, come capi
opposti di un unico filo, le trame di una convivenza qualitativa tra le
diversità, appagando la necessità profonda, per noi moderni, di ritrovare nel
contatto e nel confronto con l’altro da sé, la radice della nostra cultura, la
risposta al disagio esistenziale indotto dalla civilizzazione di massa: una
risposta alla insopprimibile ansia di radicamento».
Fondata
nel 1996 come incontro di varie realtà che si riconoscono nella visione
dell’ecologia profonda e del bioregionalismo, la “Rete Bioregionale Italiana”
consente libertà di azione locale e il perseguimento di fini comuni, collegati
e coniugati ai diversi territori e tematiche bioregionali.
«La
bioregione - recita testualmente il Documento d’Intesa della Rete Bioregionale
Italiana - è un luogo geografico riconoscibile per le sue caratteristiche di
suolo, di specie vegetali ed animali, di clima, oltre che per la cultura umana
che da tempo immemorabile si è sviluppata in armonia con tutto questo.
Per
bioregionalismo si intende la volontà di ri-diventare nativi del proprio luogo,
della propria bioregione. Possiamo fare tutte le scoperte possibili, usare la
tecnica, la scienza; possiamo andare sulla luna e comunicare via satellite, ma
alla base della nostra sopravvivenza fisica, psichica e spirituale vi sono
questi alberi, queste erbe, questi animali, queste acque, questo suolo del
luogo dove viviamo. L’evoluzione sociale e tecnologica è ecologicamente
compatibile solo in “piccola scala”, localmente, e se rimane ancorata ad una
visione olistica del sapere.
L’idea
bioregionale consiste essenzialmente nel riprendere il proprio ruolo
all’interno della più ampia comunità di viventi e nell’agire come parte e non a
parte di essa, correggendo i comportamenti indotti dall’affermarsi di un
sistema economico e politico globale, che si è posto al di fuori delle leggi
della natura e sta devastando, ad un tempo, la natura stessa e l’essere umano.
Alla
domanda: «Il bioregionalismo è solo un movimento culturale o anche politico?» Gary
Snyder, in una dichiarazione rilasciata nel corso di un’intervista del febbraio
2005 rispose: «Il nostro è soprattutto un movimento educativo che tende
all’autogoverno all’interno delle strutture presenti. Uno dei motivi per cui il
bioregionalismo è nato in Nord America, prima che in altri paesi, è perché qui
da noi i confini politici tra i vari stati non hanno niente a che fare con
quelle che sono le caratteristiche orografiche e biologiche dei vari paesi,
sono solo linee rette che tagliano a metà colline, montagne e fiumi. Quello che
proponiamo è rivalutare le bioregioni, disegnate secondo i confini naturali
tracciate dai rilievi montuosi, ma questo non per sottolineare la specificità
etnica o linguistica di un’area, ma per gestirne meglio le risorse idriche,
agricole e forestali. Spesso il decentramento e il federalismo mascherano nuove
forme di nazionalismo, decisamente di destra e potenzialmente fascista; mentre
il nostro slogan è: “Pensare globalmente, agire localmente”».
In
Italia credi possa ragionarsi in termini bioregionali?
Come
riportato nel Documento d’Intesa
fondativo della Rete Bioregionale Italiana, l’idea bioregionale è ispirata dai
sistemi naturali selvatici; per sua natura, pertanto, si esprime attraverso la
forma decentrata.
A
tal riguardo, in un mio articolo del 2017 ebbi modo di riportare il pensiero
dell’amico Paolo D’Arpini uno dei fondatori del Movimento Bioregionale in
Italia sin dai tempi in cui risiedeva a Calcata. Partendo dall’assunto che il
bioregionalismo si riconosce soprattutto nelle identità locali individuate
principalmente nell’ambito municipale e provinciale (ambiti territoriali in cui
una comunità di solito irradia la sua influenza culturale), Paolo ribadiva la
necessità di restituire dignità e salvaguardare i diritti delle piccole
comunità locali.
Tuttavia
le Regioni, così come impostate e studiate a tavolino, si pongono come stati
antagonisti sia per lo Stato Italiano che per l’Europa stessa che faticosamente
sta cercando di trovare un’identità condivisa.
A
suo dire se degli Enti inutili vanno eliminati, bene sarebbe abolire le
Regioni, ritenute mini-stati all’interno dello Stato, che non rappresentano interessi
di omogeneità culturale e bioregionale, ma solo di gestione economica e
partitica.
«Il
bioregionalismo - sostiene D’Arpini -
riportando in auge sia il rispetto della vita in termini di ecologia profonda
sia il riconoscimento dell’identità locale, è l’unico metodo che possa
garantire equanime distribuzione e pari dignità alle diverse presenze degli
abitanti della Comunità Europea. Quindi l’Europa, politicamente unita, andrebbe
suddivisa in ambiti bioregioniali (e non in Regioni o in Macro-Regioni, come
proposto da alcune forze politiche), poiché abbiamo visto che le
amministrazioni Regionali per loro natura tendono ad essere separative e
indifferenti agli interessi delle comunità locali (dovendo infatti difendere la
loro strutturazione spuria ed anomala rispetto alla identità bioregionale)».
Interpellato
in merito all’ipotesi di una “Ristrutturazione del Lazio” in chiave
bioregionale, riporto di seguito quanto da lui stesso riferitomi: «Negli ultimi
anni è andata maturando una coscienza ecologica e sociale, una considerazione
delle diverse necessità delle varie realtà urbane e suburbane, che richiede una
revisione generale degli attuali modelli e confini regionali.
Tanto
per cominciare esiste la realtà dei grandi agglomerati metropolitani, come ad
esempio Roma, ed esiste poi la realtà delle piccole città, dei villaggi e del
territorio agricolo e boschivo. Va da sé che l’amministrazione di entità che
manifestano differenze così sostanziali non può essere gestita in modo
“centralistico”, che altrimenti gli interessi dei grossi agglomerati porterebbe
alla fagocitazione e rovina dei centri meno popolosi ed al loro snaturamento.
Anche l’istituzione delle cosiddette “aree vaste”, per una collaborazione
intercomunale nei servizi, etc., non aiuterebbe il mantenimento dell’identità
locale se non corroborata dall’esigenza primaria della conservazione
dell’habitat e delle risorse naturali.
In
Europa già da tempo si sta attuando una politica “decentrativa” separando
l’amministrazione delle grandi città da quella del territorio extraurbano. Ad
esempio vedasi Parigi oppure Monaco di Baviera, entrambe definite “Città
Regione” indipendenti dal resto del territorio.
In
Italia se osserviamo la situazione amministrativa del Lazio, vediamo che l’ente
Roma Capitale è solo un’operazione d’inglobamento delle realtà rurali limitrofe
con accorpamento del territorio provinciale. Secondo il criterio bioregionale
da noi proposto, invece, Roma ed una ristretta area metropolitana dovrebbe
assurgere allo status di Città Regione.
E
a quel punto non vi sarebbe nulla di strano nello scorporare l’amministrazione
regionale in due enti: Roma Capitale e Lazio storico. Se ciò avvenisse, come
avrebbe dovuto già avvenire, questo riaggiustamento sarebbe un buon sistema di
rivalutazione per il territorio e per le piccole comunità.
L’attuale
perimetrazione del Lazio, ricordiamolo, è il risultato di un ragionamento
politico accentrativo (attuato subito dopo l’unità d’Italia e successivamente
durante il fascismo) il cui risultato fu lo smembramento delle realtà
amministrative preesistenti. Ovvero la Tuscia storica fu smembrata fra la
Toscana e il Lazio, e qui ancora separata in Tuscia viterbese e Tuscia romana.
Altrettanto accadde con i centri della Sabina, con Rieti tolta all’Umbria e con
diversi altri centri inseriti nella provincia romana e così pure avvenne nella
Ciociaria, suddivisa fra Roma e Frosinone, e nella provincia di Latina creata
ex novo in seguito alla bonifica pontina ed integrata da territori dell’ex
Regno di Napoli.
A
ben guardare, l’identità bioregionale di Roma Capitale ed area metropolitana,
in senso stretto, dovrebbe corrispondere agli stretti limiti dell’espansione
urbana e adiacenze.
Poiché
è ovvio che le realtà civiche periferiche della attuale provincia di Roma
andrebbero restituite ai loro ambiti originari, anche per un riequilibrio nel
numero degli abitanti.
Altrimenti,
se tale operazione di riequilibrio non fosse attuata, la nuova Regione
metropolitana di Roma, se compresa negli attuali confini della sua provincia,
raggrupperebbe oltre i quattro quinti dei residenti totali nel Lazio, il che
non aiuterebbe assolutamente il territorio a crescere, dovendo soddisfare le
esigenze di servizi passivi da parte della metropoli. La metropoli deve
imparare ad essere autosufficiente».
Cosa
è l' Ecologia Profonda?
In un post dell’ottobre 2012, l’ecologista e avvocato Fabio Balocco poneva in evidenza la crisi dell’ambientalismo italiano, riferendosi in particolare a quei movimenti e a quelle associazioni ambientaliste formalmente riconosciute dal Ministero dell’Ambiente. Per lui queste associazioni soffrono di vecchiaia e fanno spesso autogol mostruosi.
«Il movimento ambientalista italiano - scriveva
Balocco - aderisce da sempre ad una corrente, che viene definita ‘ecologia
superficiale’. Cos’è l’ecologia
superficiale? È, detto molto rozzamente, quel settore dell’ambientalismo che
non mette in discussione i fondamenti della nostra società, ma ritiene che alla
stessa debbano essere apportati semplici aggiustamenti. Detto altrimenti,
l’ecologia superficiale aderisce al cosiddetto ‘sviluppo sostenibile’,
locuzione coniata nel 1987 e adottata anche dall’IUCN - The World Conservation
Union, cui aderiscono appunto le maggiori associazioni ambientaliste. Quindi,
non è necessario mettere in discussione lo sviluppo, ma occorre reindirizzarlo.
Ma di ecologia esiste anche un’altra branca, l’‘ecologia profonda’ (definizione
coniata da Arne Næss), la quale sostiene che occorre ripensare l’evoluzione
della società, che essa non deve necessariamente svilupparsi, ma anzi deve
trovare un modus vivendi con la natura di tipo olistico, di interazione e
rispetto. L’ecologia profonda mette pertanto in crisi lo sviluppo inteso come
necessità, a favore di un altro modello di vita, non più antropocentrico. […].
Del resto, l’ecologia superficiale è un’invenzione di sana pianta che nulla ha
a che fare con i padri dell’ambientalismo, come Thoreau, Emerson, Muir, che
sicuramente sono più assimilabili ai canoni dell’ecologia profonda. Appare
altresì chiaro agli occhi di chi è attento alle cose di questo mondo, che non
esiste un altro sviluppo diverso da quello attualmente in atto. E che ‘sviluppo
sostenibile’ è una contraddizione in termini: o scegli lo ‘sviluppo’ o scegli
la ‘sostenibilità’. Delle due l’una, ma ambedue non convivono. Non è pertanto
assolutamente strano che chi oggi vuole impegnarsi in campo ambientale non dia
la delega ad associazioni che appaiono vecchie nella struttura, contraddittorie
ed in ritardo sui tempi».
Senza addentrarci troppo in dettagli a tutti evidenti,
molte associazioni agiscono frequentemente come gruppi di pressione puntando
sulla salvaguardia di obiettivi specifici o circoscritti a particolari ambiti
di interesse, mettendosi a disposizione, in occasione delle competizioni
elettorali, per convogliare i voti di associati e simpatizzanti su candidati di
partiti o di liste che abbiano dato prova di sensibilità ambientalista.
In continuità con atteggiamenti mentali e pratici
unificatori, ravvisati in epoche storiche remote, nel 1973 il filosofo e
alpinista norvegese ArneNæss distinse categoricamente l’ecologia in
superficiale ‘Shallow Ecology’ e in profonda ‘Deep Ecology’, contribuendo a
descriverne le basi teoriche.
Mentre la prima espressione assegna alla Natura un
valore esclusivamente strumentale o di ‘utlizzo’, la seconda non separa né gli
esseri umani, né altra cosa dall’ambiente naturale, e va ben oltre l’analisi
superficiale dei problemi ambientali propria della scienza ecologica classica,
aprendo ad una visione completa e totalizzante del mondo. Næss afferma il
diritto a vivere di tutte le forme di vita come diritto universale che non può
essere quantificato, significando come nessuna specie vivente possa beneficiare
maggiormente del particolare diritto di vivere e riprodursi più di qualsiasi
altre specie. È un’idea per la quale non possiamo operare alcuna scissione
ontologica netta nel campo dell’esistenza, un’idea metafisica: ove noi e tutti
gli altri esseri siamo solo ‘sfaccettature’di una singola realtà in svolgimento.
L’approccio del filosofo emerge con chiara evidenza in
apertura di ‘Loop’ (Ciclo infinito, 78’, regia di Sjur Paulsen), un film che lo
vede da protagonista (già novantaquattrenne), pronto al suo monologo in uno
studio di una radio di Oslo. Il film è un’indagine sulla relazione dell’uomo
moderno con il nostro tempo, visto attraverso gli occhi di alcune persone dei
nostri giorni che hanno scelto l’estremo come stile di vita. Sul fondo nero
dello studio si vede solo il volto raggrinzito e sereno di Næss, che in
solitudine dichiara: «Diciamo che andiamo ‘fuori’ nella natura, ma io direi che
andiamo ‘nella’ natura. Quando vai nella natura selvaggia hai l’opportunità di
ascoltare te stesso, di ascoltare la tua anima più profonda: Cosa voglio? Cosa
mi piace? Cosa non mi piace? Come può la mia… chiamiamola ‘qualità della vita’
essere mantenuta o migliorata? Non si tratta di beni o di qualità ma di ciò che
senti di essere, di come percepisci la vita. Che cosa ci rende felici? E come
possiamo averne di più? Esistono delle forze molto potenti nella società che ci
vorrebbero indurre a consumare sempre di più, a scoprire cose di cui pensiamo
di aver bisogno. Si crea uno stile di vita che non potrà mai appartenere a
tutti semplicemente perché in tal modo il mondo andrebbe a rotoli. Invece
dovremmo seguire un nostro personale stile di vita in cui cercare di capire di
cosa abbiamo veramente bisogno, anziché aspirare a ciò che ci propinano la
società o l’economia. Quindi l’essere è molto più importante dell’avere».
Tale visione viene in qualche modo richiamata anche
dall’austriaco Fritjof Capra (1939), fisico e teorico dei sistemi della
complessità, nonché autore de ‘Il Tao della Fisica’ (1975). Nel 1997 scrisse: «Il
potere del pensiero astratto ci ha condotto a considerare l’ambiente naturale -
la trama della vita - come se consistesse di parti separate, che diversi gruppi
di interesse possono sfruttare. Inoltre, abbiamo esteso questa visione
frammentata alla società umana, dividendola in differenti nazioni, razze,
gruppi politici e religiosi. Il fatto di credere che tutte queste parti - in
noi stessi, nel nostro ambiente e nella nostra società - siano realmente
separate ci ha alienato dalla Natura e dai nostri simili, e ci ha quindi
sviliti. Per riconquistare la nostra piena natura umana, dobbiamo riconquistare
l’esperienza della connessione con l’intera trama della vita. Questo
riconnettersi, ‘religio’ in latino, è la vera essenza del fondamento spirituale
dell’ecologia profonda. […]. Per l’ecologia profonda - continua Capra - la
questione globale dei valori è decisiva; è, infatti, la caratteristica centrale
che la definisce.
È una visione del mondo che riconosce il valore
intrinseco delle forme di vita non umana. Tutti gli esseri viventi sono membri
di comunità ecologiche legate l’una all’altra in una rete di rapporti di
interdipendenza. Quando questa concezione ecologica profonda diventa parte
della nostra consapevolezza di ogni giorno, emerge un sistema etico
radicalmente nuovo. Oggi la necessità di una tale etica ecologica profonda è
urgente, soprattutto nella scienza, dato che gran parte di ciò che fanno gli
scienziati non serve a promuovere la vita né a preservarla, ma a
distruggerla.[…]. Nel contesto dell’ecologia profonda, l’idea che i valori sono
insiti in tutto ciò che è parte vivente della Natura, ha le sue basi
nell’esperienza ecologica profonda, o spirituale, che la Natura e l’Io sono una
cosa sola. Questa dilatazione totale dell’Io fino all’identificazione con la
Natura è il fondamento dell’ecologia profonda.[…]. Ne consegue che il rapporto
fra una percezione ecologica del mondo e un comportamento corrispondente non è
un rapporto logico ma psicologico. Dal fatto che siamo parte integrante della
trama della vita, la logica non ci conduce a delle regole che ci dicano come
dovremmo vivere. Tuttavia, se abbiamo la consapevolezza ecologica profonda, o
l’esperienza, di far parte della trama della vita, allora vorremo (e non
dovremo) essere inclini ad aver rispetto per tutto ciò che è parte vivente
della Natura. In effetti, non possiamo fare a meno di reagire in questo modo».
Quanto sopra viene riconfermato anche da Guido Dalla
Casa con questa puntuale distinzione: «Mentre nell’ecologia di superficie la
Terra va rispettata perché è di tutte le generazioni presenti e future, nell’ecologia
profonda la specie umana non è depositaria né proprietaria di alcunché».
Per lo scrittore e studioso di ecologia profonda «Oggi
abbiamo superato nel mondo i sette miliardi di umani, numero assolutamente
intollerabile per l’ecosistema terrestre. Inoltre si estinguono 20-30 specie di
viventi ogni giorno, ad un ritmo diecimila volte più grande di quello naturale.
Ogni anno scompaiono 100.000 kmq di foreste, ecosistemi ricchissimi di
biodiversità. L’anidride carbonica nell’atmosfera terrestre aumenta di 3 ppm
all’anno. Il consumo di territorio è elevatissimo e questo è un problema
particolarmente grave in Italia. Oggi l’uomo non si rende neppure conto che sta
togliendo lo spazio vitale agli altri esseri senzienti e che la vita della
Terra si basa sulle sue capacità omeostatiche, o capacità di autodifendersi dai
cambiamenti troppo drastici. Tale capacità del ‘Complesso’ si basa sulla
biodiversità, cioè sul grande numero di specie ed ecosistemi in continua
interazione reciproca. […]. L’atteggiamento umano di maggioranza nei confronti
della ‘Natura’ nasce in sostanza dall’idea di base di esserne al di sopra, o al
di fuori, e quindi in grado di manipolare a piacimento tutto quanto ci
circonda: manca la percezione di essere un componente di una ‘Entità’ molto più
grande, di un ‘Organismo’ che ha le sue necessità vitali».
Avrò anche io l'onore di partecipare presentando il mio libro.
Cosa ne pensi di riconoscere diritti alla Natura?
Sono in ogni caso favorevole. Da noi l’idea di
conferire personalità giuridica alla natura risale agli anni ‘70 con lo scritto
di Christopher D. Stone “Should trees have a standing? Towards legal rights
for natural objects”. Secondo
Stone, accordare personalità giuridica alla natura avrebbe sortito due
conseguenze: essere rappresentata in tribunale e non essere di fatto più
posseduta.
Come ben racconti nel tuo libro “I diritti di Madre Natura” che
verrai a presentare a Tivoli attorno al “Giardino della Natura Profonda”, è in atto una
inesorabile presa di consapevolezza riguardo all'importanza dei temi
ambientali. Attraverso l’esempio della straordinaria Costituzione dell’Ecuador
chiarisci come i sistemi giuridici possono essere armonizzati a nuovi principi
che abbiano la loro fonte primaria nell’Universo, come spazio in cui si
manifestano le forme del vivente e come diritto della natura ad esistere formalizzato
nel 2008, seguito tre anni più
tardi dalla Bolivia. Grandi passi in avanti in questo senso sono stati compiuti anche dalla Colombia che ha riconosciuto alle foreste gli stessi diritti legali
delle persone.
Certo è che c’è ancora molto da lavorare per far sì che i diritti della natura vengano
riconosciuti, anche perché il principale dubbio degli esperti sembra riguardare
in particolar modo il riconoscimento del rappresentante legale della natura.
Chi
volesse partecipare come può fare?
Può
tranquillamente dare adesione al mio numero di cellulare: 3345270299 o alla mia
mail: italo.carrarini53@gmail.com
Resta
inteso che l’incontro si attuerà nel momento in cui sarà di nuovo possibile
spostarsi da regione a regione, nei modi di legge e con le prescrizioni che
verranno di volta in volta impartite dalle autorità locali.
Ci
consigli una lettura?
Di letture da consigliare ce
ne sono tantissime, ma anche qui tutto è legato ad un percorso personale.
Confesso che un testo che ha in qualche modo risvegliato il mio sentirmi in
natura è “La Rivoluzione del Filo di
Paglia” di Masanobu Fukuoka. Un libro prezioso perché è contemporaneamente
pratico e filosofico, non propriamente bioregionalista; un libro necessario e
ispiratore per quanto riguarda l’agricoltura perché non parla solo di
agricoltura.
Prima di altri, Fukuoka ha capito che non possiamo isolare un aspetto della vita da un altro. Quando cambiamo il modo di coltivare il nostro cibo, cambiamo il nostro cibo, cambiamo la società, cambiamo i nostri valori. Questo libro spiega come fare attenzione ai rapporti fra tutte le cose, alle cause e agli effetti e parla dell’essere responsabili per quello che si conosce.
Prima di altri, Fukuoka ha capito che non possiamo isolare un aspetto della vita da un altro. Quando cambiamo il modo di coltivare il nostro cibo, cambiamo il nostro cibo, cambiamo la società, cambiamo i nostri valori. Questo libro spiega come fare attenzione ai rapporti fra tutte le cose, alle cause e agli effetti e parla dell’essere responsabili per quello che si conosce.
Quando Fukuoka parla di
quelli che chiama i suoi metodi agricoli del «non fare», un occidentale
potrebbe opportunamente ricordare Matteo 6,26: «Seguite con lo sguardo questi
esseri che volano nel cielo: non fanno né semina né mietitura, né hanno granai
per ammassarvi qualcosa. È vostro padre, quello celeste, che pensa a nutrirli».
Come riportato in prefazione
da Wendell Berry, quella di Fukuoka è una scienza che comincia e finisce nel
rispetto, nella consapevolezza che l’umana ragione necessariamente degrada
qualunque cosa afferra. Non è il sapere che ci dà il senso della completezza,
ma la gioia, che possiamo avere soltanto senza afferrare.
«Quando si capisce che si perde la gioia e la felicità
nello sforzo di possederle, si arriva all’essenza dell’agricoltura naturale».
E questa agricoltura «naturale» che ha la sua origine
e la sua fine nel rispetto è dappertutto umana e sensibile. Gli esseri umani
lavorano al meglio quando lo fanno per il bene della gente piuttosto che per
una «maggiore produzione» o per «più efficienza», che sono stati gli obiettivi
quasi esclusivi dell’agricoltura industriale. «Lo scopo vero dell’agricoltura»
dice Fukuoka, «non è far crescere i raccolti, ma la coltivazione e il
perfezionamento degli esseri umani». E parla dell’agricoltura come di una via:
«Essere qui, prendendosi cura di un piccolo campo, in pieno possesso della
libertà e pienezza di ogni giorno, quotidianamente: questa deve essere stata la
via originaria dell’agricoltura». Un’agricoltura completa nutre l’intera
persona, corpo ed anima. Non si vive di solo pane.
Grazie a questo libro ho chiarito meglio a me stesso
cosa è necessario fare e non fare anche in arte… e il tempo mi ha ricondotto al
campo di casa, al lavoro nell’orto e alle lunghe escursioni in natura che sono
poi i temi che propongo nei miei interventi.